venerdì 30 gennaio 2015

IL LIBRO
 
Dorothy Parker, diari di signore newyorkesi



La copertina del libro edito da Astoria

La New York che descrive Dorothy Parker è la città in cui i lettini degli strizzacervelli non hanno “letteralmente il tempo di raffreddarsi tra un paziente e l’altro”. In cui le signore di animo sensibile, devono sopportare la terribile afflizione di incrociarsi con i mendicanti davanti all’atelier della pellicciaia o della modista, e, a volte e solo se il questuante non è troppo orribile, risolversi a tendergli con delicatezza una moneta, quasi l’abbiano colta da uno stelo d’argento.

La città delle amiche premurose, pronte a correre al capezzale di colei che giace a letto dopo un aborto, assistita solo da una “negra”, e rivelarle - “ma solo perchè un tipo così non ti merita, appena ti ha avuta non ti ha voluta più” - che il fedifrago se la spassa tra teatri e night, implorando un’altra di sposarlo. La New York di Dorothy Parker è la città delle donne sole nelle camerette ammobiliate, appese a un telefono muto, degli sciupafemmine da strapazzo, delle attrici alcolizzate sul viale del tramonto, delle “mamie” nere sepolte sotto montagne di lenzuola bianche, delle padrone di casa che indugiano a lungo davanti agli specchi barocchi delle loro magioni di Park Avenue perchè “là fuori”, sulla strada, ci sono “cose tristi e spiacevoli” per i loro occhi e il loro cuore: ragazze macilente, uomini malconci, facce livide di freddo e l’espressione spenta di chi fa un lavoro massacrante e mal pagato.
 
Undici racconti brevi e fulminanti, alcuni da anni introvabili, firmati dalla giornalista e scrittrice che seppe scavare dentro solitudine e disperazione, mondanità e vacuità, snobismi e paure dell’America borghese tra le due guerre. “Dal diario di una signora di New York” (pagg. 130, euro 13,00), è un delizioso libretto edito da Astoria, per entrare (o rientrare) nel mondo di Dorothy Parker e godere delle descizioni di personaggi e ambienti scolpiti con penna urticante, caustica e mai banalmente solidale.
Nata Rotschild (niente a che fare con i banchieri) nel 1893, Dorothy, rimasta giovanissima orfana e senza parenti, comincia a scrivere per “Vogue” nel 1914 e in seguito prende il posto di P. G. Wodehouse come critica teatrale a Vanity Fair, da cui viene licenziata nel 1920 per la penna tagliente e le recensioni esplicite. 


Nello stesso periodo si separa dal marito, il broker Edwin Pond Parker (di cui mantiene il cognome, scudo all’antisemitismo americano) e comincia a lavorare come freelance. Solidali con “Dot” si dimettono dalla rivista anche i giornalisti Robert Benchley e Robert E. Sherwood, che fondano con lei la “tavola rotonda dell’Algonquin”, dal nome dell’albergo tra la Quinta e la Sesta, a Manhattan, dove pranzano artisti e intellettuali. Quando nel 1925 nasce il “New Yorker”, la Parker diventa una collaboratrice fissa.
 
Intelligente, ironica e autoironica, conosceva bene la materia di cui scriveva: gli amori disordinati (“Uomini che non ho sposato” è un’altra sua celebre raccolta di racconti), gli ambienti scintillanti e vuoti, le delusioni e le convenzioni sociali, la fatica di una donna che sgomita per emanciparsi e ne paga il prezzo con la solitudine, la depressione (tentò tre volte di suicidarsi), l’alcol.

 
Un “Diario” divertente e altrettanto straziante, che registra con precisione scientifica le oscillazioni dell’animo femminile, la sua masochistica abilità di assolversi, illudersi e ingannarsi, soprattutto nella costante ricerca d’amore.

Magistrale è il racconto “Un rospo da ingoiare”, con la dottoressa Langham, guaritrice di anime sul campo, capace di convincere l’abbandonata Maida che non è “un guanto liso o una giarrettiera allentata”, piuttosto una donna paziente e intelligente, in attesa che lo sposo confuso superi la sua indisposizione e torni a casa. Non avverrà, ma la psicologa d’accatto avrà un altro caso clinico con cui rendere irresistibilmente comici i salotti e dare alle signore presenti la rassicurante sensazione di non essere “così fuori di testa, dopotutto”.
 
Dorothy è morta nel ’67, lasciando le sue proprietà alla Fondazione di Martin Luther King. Nel giardino con le sue ceneri, a Baltimora, l’epitaffio suggerito da lei: «Scusate la polvere».
@boria_a

Dorothy Parker, giornalista, scrittrice, poetessa (foto bartlebycafè)

2 commenti:

  1. Fa venire voglia di leggerlo. Avevo letto una traduzione ancora più d'effetto dell'epitaffio: Scusate la polvere.

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  2. Anche uomini che non ho sposato, galleria che si auto-riproduce nel tempo.

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