Leonor Fini sulla passerella dell'amico Dior
I tratti scultorei del viso di Leonor Fini spiccavano tra le fonti di ispirazione di Maria Grazia Chiuri nell’imponente, emozionante mostra su Christian Dior, che ha appena chiuso al Musée des arts decoratifs di Parigi (7 gennaio 2018). La pittrice triestina e l’attuale direttore creativo della griffe sono entrambe “italienne de Paris”, come il titolo dell’omaggio a Leonor Fini al Revoltella del 2009: l’una, appena arrivata a Parigi, espose nella galleria di Dior e poi ne diventò amica come tanti surrealisti, Dalì, Eluard, Max Ernst, André Breton, l’altra oggi guida la maison che è la quintessenza della couture francese.
Nella mostra “Christian Dior, couturier du rêve” la fotografia di “Lolò” in uno dei suoi travestimenti, imperiale nell’ampio mantello e copricapo immaginifico, accanto alla riproduzione di uno dei suoi quadri, era al centro del moodboard di Chiuri, il collage delle fonti, stimoli, immagini da cui è nata l’ultima collezione di haute couture che ha sfilato a Parigi nei giorni scorsi. E che di Leonor ha preso la capacità di costruire con abiti e accessori stravaganti un’identità forte, non necessariamente femminile, ma unica nell’evocare il sogno, la follia, il superamento delle convenzioni, il potere dell’inconscio dei surrealisti.
Non era l’unica presenza di Leonor nel lungo percorso espositivo parigino. Proprio all’inizio, nelle sale dedicate al “primo” Dior, il gallerista e collezionista e amico di artisti, la forte impronta dell’incontro con Leonor Fini era testimoniata da “Les Trois Faunesses” dipinte nel 1932, dove gli abiti, l’acconciatura e l’accessorio-farfalla, sulla testa di una delle tre figure rappresentate, enigmatiche donne-fauno dall’incarnato trasparente, hanno un ruolo di primo piano nel delinearne la personalità.
La decorazione a farfalla, una maestria di piume bianche e nere, ritorna anche sull’ultima passerella di Chiuri, in uno degli abiti più scenografici di una sfilata intensa, che ha meritato la standing ovation. Come tracce di Leonor si ritrovano nel mantello col cappuccio ricoperto di applicazioni di fiori, nelle piume, nell’abito robe-manteau nero con un guizzo di bianco centrale, nel cappotto bicolore, che potrebbe essere stato indossato da “Lolò” mentre in gondola, a Venezia, scivolava misteriosa verso una delle feste di cui era protagonista.
Le maschere delle modelle, create da Stephen Jones, sono un omaggio a Peggy Guggenheim, che invitò Leonor nella sua mostra di 31 artiste donne del ’43. Ma sarebbero piaciute anche a lei, con quel tulle che sfuma i contorni del viso, ed evoca creature insondabili come le sue donne-gatto.
che tempi... e che ambienti. non mi viene in mente oggi un'artista - donna - che per istinto abbia realizzato questi incontri, validi a testimoniare, a mio avviso, come non ci sia un'arte di serie A e una di serie B. il bello è bello.
RispondiEliminaE si,perpetua nel tempo, ispirando nuova ispirazione
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