I quattro amici di Calligarich
storia di tori e di spettacolo
Tutto nasce dal rapimento di un toro, Short Horn, campione argentino della monta, dall’iperbolico valore di dieci milioni di euro. È il piano folle ideato da quattro amici di un paesino disperso nelle brume del Po, decisi a dare una svolta alla loro vita. Ma sequestrare un toro e tenerlo incastrato tra due letti in una camera d’albergo si rivela operazione più complicata del previsto. Non solo perchè il potente odore e le funzioni fisiologiche, dalle dimensioni e l’irruenza proporzionate alla stazza, rendono impossibile celare l’animale, ma perchè un quinto incomodo pretende di entrare nell’affare. E con una richiesta ben precisa: non una parte del riscatto, ma un thermos di sperma del campione, da convertire subito in denaro senza il rischio di essere pizzicato con l’ostaggio e finire in galera. Accantonata l’idea di spacciare il proprio per il preziosissimo seme di Short Horn, ai sequestratori non resta che una soluzione: scegliere il malcapitato che, munito di guanti di lattice, espleterà la delicata manipolazione.
Gianfranco Calligarich |
Comincia con questa impresa esilarante e surreale “Quattro uomini in fuga”, il nuovo libro di Gianfranco Calligarich, scrittore nato ad Asmara da una famiglia di origine triestina, che esce il 7 marzo 2018 con Bompiani (pagg. 300, euro 19,00). È solo la prima di una serie di picaresche avventure che porteranno i quattro protagonisti della storia - Casablanca, Paolo, Sauro ed Elio - dalle deprimenti nebbie padane a Roma, dove finiranno a gestire un teatro molto off sopra una fontana del Seicento, tra attori improbabili e inevitabilmente gay, primedonne anoressiche e miracolosi benefattori, amori, tradimenti e tanti debiti.
A meno di due anni dall’uscita de “La malinconia dei Crusich” (2016), sulle vicende intrise di Mitteleuropa della sua cosmopolita famiglia lungo tutto il Novecento, con quest’opera Calligarich torna alla verve e in parte al linguaggio fulminante e ironico del primo libro, “Posta prioritaria” (2003), una raccolta di irresistibili simil-segnalazioni del Piccolo.
Dichiarata una nota autobiografica: lui stesso, infatti, è stato il fondatore del Teatro XX Secolo dentro il Fontanone del Gianicolo, collocazione che “ispira” quella dello strampalato teatrino (con grande vista sulla Capitale) dei quattro amici di questa storia. Anche la dedica del libro ci riporta a una venatura di affettuoso amarcord: «A Nicola e a tutti gli ancora presenti o ormai assenti compagni di un tratto di vita trascinante. Con affetto, nostalgia e opportuna irrisione del passare del tempo».
Il cronista delle avventure dei quattro è Casablanca, dal titolo del film che proiettava spesso nel suo cineclub e di cui, altrettanto spesso, era spettatore unico. C’è poi Paolo, figlio del più ricco allevatore della zona, con una marcata somiglianza al mascellone da gangster dell’attore Jack Palance; e ancora Sauro, decoratore di ceramiche dalla sessualità così ecumenica da far innamorare donne, uomini e animali (e in quest’ultima categoria, com’è immaginabile, un possente cuore respinto può causare tanti guai); infine il nanerottolo Elio, con quindici anni in più degli altri e una moglie da cui sogna la deportazione. Tutti, insomma, sono già in fuga ancor prima di partire.
Quale miglior propellente, allora, che un doppio amore non corrisposto, o corrisposto in coabitazione con altri? Quello di Short Horn per Sauro finirà, letteralmente, in fumo, come i piani degli improvvisati rapitori. Ma quello di Paolo per la fatalona cantante Samanta Cantavento, una mantide di provincia dal repertorio triste, dopo appena qualche notte gli farà convertire la fiammante Ferrari in una più democratica Fiesta con cui far rotta verso Roma e le luci della ribalta. Un sogno che si avvera nel teatro affittato sopra la fontana, chiamato pomposamente Stanislavsij, dove i nostri, con altri pittoreschi innesti, metteranno in scena grandi film americani, a cominciare da Scarface.
Calligarich, pluripremiato autore di teatro e di celebri sceneggiati televisivi (da Storia di Anna a Piccolo mondo antico), questa volta firma una irriverente e popolosa commedia umana, dove l’autobiografia, opportunamente esasperata e resa irriconoscibile, diventa fotografia del mondo dello spettacolo alternativo, con i suoi vizi e vezzi, gli amori e gli odi plateali che durano un pugno di secondi, la perenne bolletta, i biglietti omaggio prima sdegnosamente rifiutati e poi regalati a pioggia pur di riempire qualche fila, la ricerca di uno sponsor (che per un teatro dentro una fontana potrebbe anche essere un produttore di sanitari con stabilimento sul Raccordo anulare...). Fino all’incredibile incontro con un malinconico mecenate, industriale dell’acciaio innamorato dei film americani, che finanzia l’impresa dei quattro. Almeno finchè un amore più potente non dirigerà altrove i suoi favori.
Il romanzo è la perfetta sceneggiatura di una fiction a puntate, dove per macchiette e caratteri, come l’Algida Milanese o l’improbabile attrice friulana Lola Montez, Madame Veuve Clicquot e il misterioso N.N., ogni lettore già immagina l’interprete più calzante. Sulla carta, la vena comica, dopo un attacco folgorante, finisce per diventare un gioco scoperto e, lungo trecento pagine, inevitabilmente si estingue.
Resta però inconfondibile (per chi ama Calligarich dal suo libro d’esordio “L’ultima estate in città”, Premio Inedito ’73, diventato un cult) la capacità dell’autore di evocare, con malinconia impercettibile ma impastata in ogni pagina, una stagione tumultuosa di sogni e azzardi, di sconsideratezze e fallimenti. Quando qualsiasi avventura, per quanto folle, con i giusti compagni di strada sembrava a portata di mano. «Non ho più niente da dire - scrive Casablanca - tranne il fatto che qui, guardando il Tevere e pensando a N.N. e al nostro teatro, mi viene in mente sempre la stessa idea. Che sia per Short Horn che per il teatro eravamo andati a caccia di Moby Dick. Paolo come il capitano Achab ed Elio Sauro e io a formare la ciurma del Pequod».
L’Ismaele di Moby Dick guardava gli spazi sconfinati del mare quando sentiva vuota la vita, Casablanca butta giù un diario del passato per scacciare lo stesso avvilimento. Senza l’epica del quando eravamo ggiovani, ma con un disincanto dolente, a volte mascherato di cinismo, che è il registro più autentico dell’autore.
@boria_a
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