sabato 29 novembre 2014

IL LIBRO

Shopping noir



La copertina del libro di Radhika Jha


Puro attimo di felicismo. Quando dopo un confronto fisico e mentale di pochi attimi, strappandosi di mano l'attaccapanni e incenerendo l'avversaria con lo sguardo da predatore, si conquista l'oggetto supremo del desiderio, si chiami Prada, Miu Miu, Fendi, Burberry, La Perla, Christian Dior. È una guerra e le donne sono i samurai dello shopping, nei grandi department store di Tokyo come sul campo di battaglia: determinate, implacabili, insaziabili. Sete di shopping come di sangue, per una Vuitton o un paio di sandali di Ferragamo si ammazza o ci si ammazza. La posta in gioco è la felicità, anzi, quel felicismo che gli americani hanno introdotto in Giappone, e che ti porta a raggiungere una condizione di totale appagamento, un'estasi che ti fa uscire da te stesso e contemplarti dall'esterno nella tua perfezione, solo acquistando e accumulando voracemente. Felicismo uguale consumismo.
Non facciamoci ingannare dal titolo, "Confessioni di una vittima dello shopping" (Sellerio, pagg. 249, euro 16,00), qui la Kinsella, con suo spendere esilarante e spensierato da chick-lit, dove c'è sempre un Mr. Right dal pingue conto in banca che salva e convola a nozze con la dissipatrice, non c'entra niente. Il romanzo di Radhika Jha, scrittrice indiana che ha studiato in America, ha vissuto a Tokyo e ora risiede a Pechino, è uno spietato e nero viaggio nella mente di una serial shopper, che scopre nell'acquisto compulsivo il modo di rompere la ferrea routine di moglie di un uomo in carriera e madre di due bimbi piccoli, costruendosi una vita parallela.
Per la giovane Kayo l'incontro fatale è con una vecchia compagna di liceo, l'affascinante Tomoko - che già anni prima le aveva propiziato un appuntamento con il futuro marito, complice una gonna griffata Burberry, prestata dall'amica - donna di suprema eleganza e mestiere misterioso, ma neanche poi tanto. Grazie a lei, Kayo entra in un club, governato da un segreto: la stessa appartenenza al club. Le donne che vi fanno parte - casalinghe con tanto tempo e pochi yen e impiegate con più denaro ma niente tempo, divise da odi e invidie feroci - sopravvivono all'interno solo se sono, appunto, samurai, se riescono a mentire sul conto familiare che si prosciuga, se trovano usurai pronti a prestare soldi e ad alimentare la catena di menzogne, se corrompono commesse ed entrano nel giro delle svendite, se lottano senza risparmiarsi ai due lati di un appendino col capo concupito. Se, infine, come succede a Kayo, imparano a sfruttare madre natura per continuare a rimanere nel club.
Pagina dopo pagina, cresce l'ossessione della protagonista. È una droga, che «inizia come un solletico alle dita dei piedi, poi senti le bollicine invadere ogni cellula del tuo corpo. Evaporate le bollicine, ecco che un'olimpica concentrazione prende possesso del cervello: la caccia ha avuto inizio...». Ma cresce anche la difficoltà per Kayo di mantenere distinte e distanti le sue identità parallele, che corrono verso l'inevitabile collisione.
Fino all'ultimo Radhika Jha tiene il lettore sul filo di questo romanzo cinico e dark. Pare che tutto sia destinato a concludersi per la protagonista nel tempio dove il marito l'abbandona, a contatto con la perfezione della natura e la frugalità delle abitudini. «Ma niente rimane com'è... - dice Kayo - tranne i vestiti. Per questo i vestiti mi piacciono tanto. Se hai i vestiti non hai bisogno di amici e nemmeno della famiglia». Così se i vestiti, se il felicismo è violato, si può arrivare a uccidere.
twitter@boria_a

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