Ascoltare i fagioli e gli esseri umani
C’è una cucina dove non ci sono corse contro il tempo, concorrenti frenetici e giudici acidi che sentenziano ed eliminano. Una cucina lenta, dove si rispettano i tempi lunghi del sobbollire, del mescolare, dell’amalgamare. Dove l’ingrediente che arriva da lontano va “accolto” nel modo giusto, perchè ha fatto una lunga strada, e lentamente incorporato agli altri, per evitare rifiuti o disequilibri, quasi si trattasse di una persona sconosciuta da integrare in un gruppo già affiatato. Una cucina lontanissima dagli “incubi” e “inferni” televisivi, dallo strapotere degli chef-star, che al posto degli ordini urlati privilegia le parole, le spiegazioni e la trasmissione di saperi.
Per chi è stanco della catena di montaggio di masterchef, un libro delicato e intenso restituisce il piacere e la magia della preparazione di un piatto, metafora della conoscenza reciproca, dell’attitudine all’ascolto, della forza dell’amicizia contro i pregiudizi e le segregazioni.
Durian Sukegawa, nome d’arte di Tetsuya Sukegawa, è un poeta, scrittore e clown giapponese, con una laurea in Filosofia orientale e una in Pasticceria, conseguita all’Università della Pasticceria del Giappone. Questi interessi si fondono magistralmente ne “Le ricette della signora Tokue” (Einaudi, pagg. 180, euro 18,00), il suo primo libro tradotto in italiano, da cui è stato tratto un film diretto da Naomi Kawase e presentato al Festival di Cannes 2015. Il cuore della vicenda ruota intorno alla preparazione dei dorayaki, dolci tradizionali nipponici composti da due dischi di pandispagna che racchiudono l’an, una sorta di marmellata il cui ingrediente principale sono gli azuki, fagioli piccoli e rossi, che provengono da una pianta originaria dell’Asia orientale e dell’Himalaya.
Perchè al frustrato e infelice pasticciere Sentaro, che gestisce una piccola bottega chiamata Doraharu, questi dolci riescono così mediocri? Solo perchè li fa di malavoglia per accontentare una clientela di studentesse di poche pretese, con l’unica speranza di finire la giornata al più presto e di stordirsi di sakè? O perchè, arrivato alla mezza età e con un passato inconfessabile, si sente risucchiato dalla sua oscurità interiore e dal peso dei giorni sprecati, senza riuscire a confidarsi con nessuno?
Mentre Sentaro vive per inerzia, un giorno, sotto il ciliegio davanti alla bottega, compare una vecchietta con le mani deformi e nodose, che insiste per essere assunta, e pure a uno stipendio risibile. L’uomo rifiuta, ma una volta assaggiato l’an della signora Tokue e aver visto il modo in cui la donna accarezza i fagioli e ne segue la cottura da vicino, sopra la pentola, col volto avvolto dal vapore, si lascia convincere. E la sua vita vuota cambia per sempre. «Si tratta - gli suggerisce l’anziana - di osservare bene l’aspetto degli azuki. Di aprirsi a ciò che hanno da dirci. Significa, per esempio, immaginare i giorni di pioggia e i giorni di sole che hanno vissuto. Ascoltare la storia del loro viaggio, dei venti che li hanno portati fino a noi».
Tokue, come Sentaro, custodisce un segreto. Entrambi sono stati rinchiusi, allontanati dagli altri. Ma, giorno dopo giorno, davanti alla piastra di cottura del piccolo locale, rispettando i tempi delle preparazioni ed esercitando la pazienza sugli impasti, i due cominceranno a parlare, a confidarsi, a costruire un’amicizia che, come un dolce, accompagnano con delicatezza e rispetto in ogni fase. «Essere all’ascolto», lo chiama Tokue: di tutti gli esseri viventi, ma anche dei raggi del sole e del vento, perchè ogni cosa, secondo l’anziana, ha il dono della parola. Va ascoltata anche Wakana, una studentessa introversa, con una famiglia spezzata, la prima a domandare una spiegazione per quelle strane mani rattrappite.
Tokue conosce il pregiudizio e l’isolamento da quando, a quattordici anni, una malattia terribile l’ha strappata alla sua famiglia e al suo paese, costringendola a vivere segregata insieme ad altri infetti, alla periferia di Tokyo. La donna è ormai guarita da anni, e l’ostracismo è stato bandito per legge, ma i segni sul suo corpo continuano a respingerla ai margini. Accade anche al negozio: quando le chiacchiere cominciano a circolare, scivola via leggera come i fiori di ciliegio sotto cui è apparsa.
Qual è la ricetta della serenità di Tokue? Sentaro e Wakana la scopriranno varcando la siepe di agrifoglio che circonda il quartiere dove l’anziana vive. Conosceranno la solidarietà, l’accudimento reciproco, la forza del sorriso che spezza qualsiasi incomunicabilità. L’«essere all’ascolto» che fa bene alla fusione, di ingredienti e anime. «Ecco perchè facevo i dolci: per nutrire tutte le persone che avevano accumulato lacrime. È così che anche io sono riuscita a vivere», scrive la donna nell’ultima lettera a Sentaro. L’eredità che gli lascia è preziosa: il segreto di un infuso di foglie di ciliegio, la memoria del paese da dove Tokue veniva, che è la chiave per riprendere in mano la sua vita.
@boria_a
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