L'arte di Roberto Capucci trova casa nella dimora del doge Manin
I quasi cinquecento abiti dell’immenso archivio di Roberto Capucci, di proprietà della Fondazione che porta il suo nome, hanno finalmente trovato casa a Villa Manin di Passariano (Udine). Un trasloco complesso che, a oltre un anno di distanza dalla relativa legge regionale, può dirsi ultimato. Nella palazzina D dell’esedra di ponente, in quelli che originariamente erano locali di servizio alla dimora dogale e che poi hanno accolto la scuola di restauro, dell’ottobre scorso è custodito un pezzo di storia della moda italiana e la straordinaria avventura creativa di uno dei suoi più eclettici protagonisti.
Le due grandi sale al primo piano della palazzina sono diventate un magazzino di meraviglie di inventiva, design e tecnica sartoriale, un’esplosione di colori voraci, tropicali, di plissettature, volute, capitelli, ventagli, girandole di sete e organze. Sono abiti-scultura che hanno fatto il giro dei musei del mondo e ora, quasi tutti appesi e protetti da custodie di nylon, attenderanno la conclusione del restauro di Villa Manin, dove, a rotazione semestrale, verranno esposti permanentemente con mostre a tema. Tra le due sale, a fare da raccordo e quasi da anfitrione, un pezzo iconico: l’Angelo d’oro, del 1987, amplissimo e interamente plissettato, con un corpetto da cui si alzano pannelli a formare le ali.
È stato un trasferimento più lungo del previsto quello della Fondazione Capucci (www.fondazionerobertocapucci.com). Le opere tessili (come chiamare altrimenti “Oceano”, la scultura ideata per l’Expo universale di Lisbona 2000, in tutte le immaginabili sfumature del blu, ben 37, striscioline infinitesimali cucite una per una a mano per evocare la spuma marina, che ha richiesto mesi di lavoro?) sono arrivate da vari magazzini di Roma, dov’erano conservate prima del trasloco friulano, e dal museo Capucci a Palazzo Bardini di Firenze che, al contrario di quanto annunciato in un primo tempo, è stato chiuso.
L’archivio del designer, 87 anni, uno degli ultimi grandi maestri di una stagione irripetibile della moda italiana, ha dunque una nuova sede nella palazzina messa a disposizione gratuitamente dalla Regione, che, sulla base di una convenzione con la Fondazione, si impegna anche a collaborare nel riordino dei materiali, che verranno catalogati e digitalizzati. La Fondazione, a sua volta, metterà a disposizione il patrimonio e il prestigio del suo nome per iniziative espositive e culturali di richiamo.
Nelle intenzioni dell’assessore uscente, Gianni Torrenti, c’è la rivitalizzazione di Villa Manin, di cui la Fondazione Capucci dovrebbe diventare uno dei motori, innescando un circolo virtuoso tra tutte le realtà istituzionali del territorio che si occupano di moda e tessuti, ma anche diventando polo di attrazione per turisti e appassionati. Basti pensare ai numeri registrati dalla mostra “Capucci dionisiaco” a Palazzo Pitti di Firenze: dal 9 al 14 febbraio, durante Pitti Immagine Uomo, le grandi opere su carta raffiguranti costumi maschili per il palcoscenico, che lo stilista ha disegnato negli anni Novanta in assoluta riservatezza, hanno richiamato circa cinquantamila persone.
Enrico Minio Capucci, direttore della Fondazione Capucci |
Nel prossimo futuro, dunque, ogni abito Capucci avrà la sua scheda tecnica e la sua storia espositiva in digitale, consultabile a richiesta da studenti e studiosi. «Mio zio - racconta Enrico Minio Capucci, direttore della Fondazione - ha tenuto tutto, ha raccolto qualsiasi tipo di documentazione sul suo lavoro. Adesso il materiale verrà ordinato con logica archivistica, ma la strada è segnata. Soltanto la rassegna stampa è imponente». E da questi materiali capita ancora che saltino fuori sorprese, come la lettera che Rita Levi Montalcini scrisse a Capucci per ringraziarlo di quell’abito nero col piccolo strascico che lui le disegnò per la cerimonia del Nobel nel 1986: «Al mio caro amico Roberto, che rappresenta la più alta espressione dell’arte e creatività italiana».
Gli ambienti della Fondazione si estendono su cinquecento metri. Al pianoterra, una sala è dedicata a foto, audiovisivi, slide, in tutto circa cinquantamila, di cui diecimila già digitalizzati. «Molto abbiamo già fatto noi - spiega Minio Capucci - ora ci darà una mano il Servizio di catalogazione della Regione. Stimiamo che ci voglia almeno un anno di lavoro per sistemare tutto». In un’altra sala adiacente è stato collocato l’archivio dei disegni, che registra numeri da capogiro. Sono ventiduemila i bozzetti che Capucci ha realizzato per ricavarne le sue collezioni, mentre ammontano a settantamila, ripartiti in cinquantadue libri, gli schizzi con soggetti e temi vari. Una volta fotografati, tutti i bozzetti, dal 1951 (l’anno in cui lo stilista debuttò, poco più che ventunenne, a Firenze) a oggi saranno visibili e consultabili in via informatica.
A questa raccolta si aggiungono le illustrazioni, ideate per esposizione o pubblicazione: 188 sono quelle incorniciate, alcune già a Villa Manin, altre nella casa romana di Capucci, dove sono conservati anche progetti per sculture, caricature, teatro, di sua esclusiva proprietà. Una raccolta iconografica in continua crescita. «Mio zio disegna ogni giorno - testimonia Minio Capucci - attualmente i suoi soggetti sono le Madonne».
Il primo “assaggio” espositivo è in programma a Villa Manin il 17 e 18 marzo 2018, in occasione della rassegna florovivaistica “I giardini del doge”, quando verrà inaugurata, forse dallo stesso Capucci, una mostra di suoi abiti ispirati a natura e fiori, che si potrà visitare fino a Pasqua. Ma i progetti sono tanti e riguardano non solo l’esposizione permanente dei pezzi della collezione, da proporre con nuovi strumenti multimediali che li rendano ugualmente fruibili e interessanti sia per il grande pubblico che per gli appassionati e ricercatori di storia della moda e dell’arte.
Le iniziative che la Fondazione vorrebbe avviare nella nuova sede puntano anche alla formazione dei giovani. «È nostra intenzione attivare dei master - anticipa Minio Capucci - in partnership con lo Iuav di Venezia, che è interessato alla collaborazione. Pensiamo, per esempio, alla fotografia di moda». Al primo piano della sede è stato già allestito uno studio con una grande piattaforma circolare nera, dove gli obiettivi degli studenti possono esercitarsi su invenzioni e dettagli. Infine, ci sono i progetti dedicati al maestro da altri contemporanei, come il musicista e videoartista Elio Martusciello, che ha scomposto gli abiti in un caleidoscopio: la Fondazione vorrebbe invitare anche loro a esporre a Villa Manin.
L’operazione Capucci è idealmente partita nel 2004, dalla mostra di 110 creazioni a Palazzo Attems-Petzenstein di Gorizia, realizzata dall’allora sovrintendente Raffaella Sgubin, oggi direttrice del Servizio musei e archivi storici dell’Erpac, e seguita personalmente dal couturier, che negli anni ha intrecciato un rapporto affettuoso col Friuli Venezia Giulia, dov’è tornato spesso. Dodici anni dopo, nel novembre 2016, questo filo si è concretizzato in una legge regionale che, attraverso l’Erpac (l’Ente regionale patrimonio culturale, diretto da Gabriella Lugarà) garantisce una sede di prestigio alla raccolta, per una permanenza minima di cinque anni.
Roberto Capucci fotografato da F. Niccoli |
Alla Fondazione - il cui archivio, inalienabile, è stato dichiarato dal Ministero di particolare interesse storico - - oggi lavorano a tempo pieno Enrico Minio Capucci e suo figlio Alvise: per statuto, la direzione dell’ente deve essere sempre nelle mani di un componente della famiglia. Che custodisce un valore materiale, solo per quanto riguarda le opere tessili, di dieci milioni di euro. E un’eredità storica, artistica, culturale, incalcolabile.
@boria_a
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