venerdì 5 dicembre 2014

IL LIBRO

Quei Lacci che soffocano l'amore

I lacci di un gioco tra padre e figlio, Aldo e Sandro, un modo di legarsi le scarpe particolare, uno strano occhiello che diventa un codice di riconoscibilità tra di loro, un segno di appartenenza dell'uno all'altro, forse solo immaginato, sperato, recuperato dalla memoria, quando tutte le altre condivisioni si sono logorate. I lacci che legano Aldo e Vanda, diventati marito e moglie, giovanissimi, negli anni Sessanta, quando metter su famiglia, fare figli, era trasgressivo, dirompente, un gesto di assunzione di responsabilità e di affermazione di indipendenza. I lacci di sangue che uniscono e separano due fratelli, Sandro e Anna, cresciuti nei silenzi devastanti di una famiglia ricomposta, costretti a recitare la parte che ognuno dei genitori ha assegnato loro nella tela domestica, e a imparare che è soprattutto quello che si tace agli altri a far da collante.
Sono quattro i protagonisti dell'ultimo romanzo di Domenico Starnone. Tre voci – lei, lui, i figli – a trascinarci, con tre racconti distinti e altrettanto crudi, rapidi, crudeli, nella patologia profonda di un matrimonio che dura da cinquant'anni, cementato da una quotidianità dove la vittima è diventato il sopraffattore, il fuggitivo il custode arrendevole della normalità apparente, i figli, ormai grandi e usciti di casa, con le loro vite affannate e disordinate, i testimoni di un fallimento sotterrato.
In “Lacci” (Einaudi, pagg. 133, euro 17,50) Aldo e Vanda li incontriamo, insieme, ormai settantenni, al ritorno da una vacanza al mare, quando trovano il loro appartamento – il bell'appartamento romano sul Tevere, simbolo del successo professionale di lui, dell'accanita parsimoniosità di lei – devastato dai ladri, il gatto di casa, Labes, sparito, ogni arredo sventrato, ogni contenitore svuotato e fracassato, da una furia quasi cauterizzatrice. E' lì, davanti a questi lacci domestici recisi, a questi due anziani naufraghi che si muovono vicini e distanti tra i relitti dei loro arredi, tra le annotazioni minuziose delle loro vite, strappate ai loro nascondigli ed esposte come una verità oscena, che la storia si ricompone.
Aldo ha lasciato Vanda e i due bambini piccoli per andarsene a Roma con Lidia, per seguire la sua leggerezza, i suoi colori, la sua eleganza. La ragazza che sente di amare “nella maniera più arretrata, vale a dire in modo assoluto”. Lidia è primavera, ma poi diventa l'estate, l'autunno, l'inverno quell'ebbrezza che permette ad Aldo di lavorare, di scrivere, di sentirsi vivo. ”Insomma, il tempo desiderato era il suo, quello con Vanda, con Sandro e Anna, lo temevo, lo allontanavo, lo riducevo al minimo ora con una scusa ora con un'altra...”.
Vanda resta a Napoli con i figli, divorata da un dolore che diventa rabbia distruttiva verso se stessa, ricatto affettivo, tirannide verso i bambini. Si dispera, litiga, minaccia, tenta di ammazzarsi. E scrive: “Se tu te ne sei scordato, egregio signore, te lo ricordo io: sono tua moglie” . Ora quelle lettere sono lì, nell'appartamento distrutto di una coppia settantenne, tra i bloc notes con il dettaglio delle spese, la minutaglia del quotidiano, a riportare a galla quella frattura lontana e ancora così – rumorosamente – presente.
Quali sono i veri lacci? Quelli della giovane famiglia da cui Aldo trentenne si è allontanato? Quelli che tenta di mantenere con i figli sempre più estranei, davanti ai quali scoppia a piangere a sentir ricordare il suo modo speciale di allacciare le scarpe, il relitto di una passata condivisione? O quelli della famiglia in cui ritorna, da un figlio alle soglie dell'adolescenza e una figlia che ha immagazzinato la disperazione materna, l'ha decodificata ed è pronta a risputarla. Da una donna che anche all'inizio ha desiderato con “giudiziosa misura”, di cui non riesce a ricordare lo splendore di ventenne?
Perchè Aldo ritorna. E sui lacci tagliati, accetta di ricostruirne altri, molto più tenaci e soffocanti. Perchè Vanda lo riaccoglie, seppellendo il passato sotto i silenzi, le indifferenze, le angherie e le angustie della ritrovata vita di coppia, sotto la rigida gestione di un matrimonio incollato dai cocci.
Starnone ci accompagna passo dopo passo dentro questo rapporto guasto. Nelle arrendevolezze e nelle crudeltà che lo trascinano lungo cinquant'anni. Nella patologia che da Aldo e Vanda si allarga ai figli, a Sandro che semina figli in ogni nuova compagna, ad Anna che rifiuta qualsiasi idea di riproduzione, che ama uomini e donne, e odia quell'appartamento dove tutti insieme hanno trovato la loro personale prigione.
Un giorno Vanda porta i figli a vedere il padre con la sua nuova compagna, fermi in strada come in un appostamento, ad aspettare che i due escano dal portone. Anna li vede: “Pensai: com'è bella, com'è colorata, da grande voglio essere identica a lei. Di quel pensiero sentii subito la colpa, la sento ancora, è una vita che la sento. Mi resi conto che non volevo più assomigliare a mia madre e che perciò la stavo tradendo”. La chiave per capire è lì, tra quei relitti domestici e sentimentali, in cui Starnone scava, fino alla sorprendente verità. 

twitter@boria_a

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