LO SCRITTORE
Umberto Saba e il Giappone che non vide mai
Umberto Saba sulle Rive di Trieste, quando ancora vi passavano i treni
Si intitola “Intermezzo quasi giapponese”, la plaquette di Umberto Saba, tirata in due, tre copie, che la Biblioteca Hortis ha appena acquistato per il nuovo Museo della Letteratura di Trieste, Lets, in previsione dell’apertura della sala dedicata al poeta. Ma che cos’è quest’Intermezzo? Nell’aprile 1917 Saba scrive all’amico avvocato fiorentino Aldo Fortuna, di aver composto circa una quarantina di “Poesie giapponesi” di tre o quattro versi, che rappresentano il suo testamento artistico. Come al solito la libreria annaspa e Saba ha l’idea di pubblicare opere di pregio, in poche copie, per suscitare l’interesse dei bibliofili e spingerli a farsi concorrenza tra loro per accaparrarsele.
È l’ennesima strategia di marketing editoriale messa in campo dal poeta, dopo altre iniziative di scarsa fortuna. Il magazzino della libreria non si alleggerisce e il varo dell’«Editrice La libreria antica e moderna», inaugurato dalla pubblicazione del volumetto “Tentativi d’arte di Enrico Elia”, in vendita a tre lire, non ha dato i risultati sperati. Anzi, è stato un fallimento. «Io che non amo che cose buone, maturate in silenzio e con lentezza, mi trovo obbligato a dover fare ogni giorno dieci e più cose diverse; libreria, reclami per cinematografi, preoccupazioni familiari, questioni con le disordinatissime Messaggerie etc. etc. E con tutto questo strappo appena da vivere; mentre gli ebrei che ho d’intorno, sanno guadagnare 10.000 lire con un semplice colloquio al caffè”, si lamenta Saba con l’amico vociano Papini.
L'Intermezzo quasi giapponese conteneva 17 componimenti brevi
Come far soldi, dunque? Nasce da qui l’idea di percorrere la strada delle chicche per collezionisti: “Cose leggere e vaganti” viene pubblicato in 35 copie, il Canzoniere in dieci libretti singoli. Anche le “Poesie giapponesi” rientrano in questa operazione. I circa quaranta componimenti di pochi versi di cui Saba ha informato Fortuna non riescono a trovare un editore e il poeta deve inventarsi un modo per solleticare l’aspettativa degli intenditori. Spiega tutto nel colophon dell’Intermezzo acquisito dalla Biblioteca, che contiene 17 brevi componimenti: «Tra un sogno e l’altro - un intermezzo di versi - ho raccolto alcuni giocattoli scritti in tempo di guerra. A rendere meno aride queste parole ecco il frontespizio con un disegno di Vittorio Bolaffio, lui amico dell’Oriente, e la confezione di Virgilio Giotti, poeta e libraio come me».
Ma il Giappone? Nessuno di loro l’ha di certo visitato, forse solo orecchiato dai racconti dei fuochisti del Lloyd. Il filologo Arrigo Castellani ammette che Saba abbia letto l’antologia di poesie “Note di Samisen”, edita da Carabba nel novembre del 1915 e fondamentale per l’introduzione in Italia della lirica tradizionale giapponese, ma ritiene che che haikai e tanka abbiano agito su di lui piuttosto come stimoli a una personale riscoperta dell’epigramma. I componimenti dell’Intermezzo, che risentono dell’influenza de “Il porto sepolto” di Ungaretti, riprendono stati d’animo, momenti atmosferici, vite di animali. Il Paese del Sol Levante non c’entra nulla e lo dice lo stesso Saba nei versi della poesia “Viaggio al Giappone”: «Nell’antico Giappone (io mi dicevo) son gli stessi viali che ho lasciato là, in Europa... Due passi, e al luogo amato parmi d’essere. E c’ero infatti. Avevo d’esser lungi sognato».
Quelle che non mancano sono le suggestioni visive. Il Circolo Artistico Triestino aveva organizzato alcuni anni prima della plaquette giapponese due mostre d’arte orientale, una nel 1908 curata da Carlo Wostry e l’altra nel 1912 affidata ad Argio Orell.
Come già fatto in passato, Saba dissemina indizi di questo suo “testamento” in edizione limitata, fa circolare manoscritti e dattiloscritti, pubblica qualche testo sulle riviste, come spiega nel volumetto “Intermezzo quasi giapponese” la curatrice Maria Antonietta Terzoli, ricostruendo la “mappa” promozionale dell’opera.
Ma il marketing del poeta è poco efficace. Una copia dell’Intermezzo la regala allo scultore Ruggero Rovan, che a sua volta la dà a Bruno Astori perchè la pubblichi sulla rivista del Lloyd “Sul Mare”, per farla poi ritornare nelle mani di Anita Pittoni. La stessa copia, attraverso Giotti, arriva al poeta Carolus Cergoly. Passaggi di mano nel suo circolo di amici e intellettuali che non risollevano i conti.
Intanto, il fascino giapponese che attraversa i primi decenni del Novecento continua a catturare anche Trieste e Saba non ne è immune. Nel dicembre 1930 la libreria pubblica il catalogo n. XXXII che contiene una sezione dedicata a libri illustrati dell’arte giapponese (le “Vedute del fiume Yeddo” di Hiroshige e le “Cento vedute del vulcano Fugi-yama”, in tre volumi, di Hokusai). Anche nel catalogo n. XXXVI dell’ottobre 1931 compaiono gli album di stampe giapponesi “provenienti da una grande collezione”. Dopo gli anni Trenta in città si apre la Mostra dell’Estremo Oriente a cura di Oreste Basilio, dove spiccano due sale con la “raccolta di stampe colorate giapponesi del cav. Morpurgo De Nilma” con opere di Outamaro, Hokusai, Hiroshige e la collezione di pannelli giapponesi della baronessa Mary de Albori.
L’«Intermezzo» è stato acquisito dalla Biblioteca Hortis dalla Libreria Drogheria 28 di Simone Volpato - che da anni studia con Marco Menato l’antro di Saba, le sue relazioni con i clienti, la struttura dei cataloghi - e ha trovato collocazione nella collezione di Lets proprio alla vigilia dell’apertura al pubblico, il 13 settembre 2024. Il Giappone del poeta era vicino: “Ebbi un solo, per lunghi anni conforto:/ dove gli altri eran tutti a lavorare/ io di Trieste per le strade e il porto a bighellonare”.