martedì 10 agosto 2010

MODA & MODI: smutandate e marsupiati in volo

Il marsupio che ballonzola sulla pancia o il gilet simil-cacciatore, dalle tante e capienti tasche, dove custodire i documenti di viaggio. Il pinocchietto che trancia a metà i polpacci da mediano, immancabilmente abbinato alle scarpe da ginnastica immacolate da cui spuntano i bordi del calzetto meno che mai "fantasmino". I leggings incollati a ogni millimetro quadrato di quello che nella quotidiana vita urbana ci sforziamo in tutti i modi di nascondere, dalla cellulite alla biancheria. La tuta da ginnastica, promossa a indumento da spostamenti comodi e ingualcibili. I cappelli da cow-boy e gli stivali da ranchero anche se la destinazione è l'Alaska, le crocs multicolor dagli zero ai sessant'anni, le cinture di Gucci comprate sulle spiagge, le camicie hawaiane o le t-shirt che dichiarano mestamente "Ilove" a mete di precedenti trasferte o passaggi a esotici e improbabili rock cafè.
Le statistiche ci dicono che non raggiungono nemmeno il cinque per cento gli  italiani che quest'anno trascorrono un periodo di vacanza fuori dai confini nazionali. Una risicata pattuglia scampata alla tenaglia della crisi e più che mai ansiosa di liberarsi di tutte le mestizie invernali, anche di quelle altrui. L'aeroporto è la prima tappa di questa pimpante marcia verso la libertà, il passaggio obbligato che divide il rigido tran tran quotidiano, con i suoi codici di comportamento e di abbigliamento, dalla sospirata meta del relax. Una specie di porto franco del gusto in cui si comincia ad avvertire il brivido dell'anonimato, in cui saltano le regole e le inibizioni nel vestire, in cui tutto sembra concesso. Parola d'ordine, bruciare le confortevoli uniformi della vita "reale" e scatenare la fantasia, non c'è tarocco, taglia, colore, sedere che tenga. Mentre chi prende il treno rimane imprigionato nei suoi abiti di sempre, non fosse altro che per la contiguità fisica delle stazioni alle città, il popolo dei viaggiatori volanti ha caratteristiche tutte sue, difficili da isolare in altri luoghi di transito. Un popolo di variopinte tute di lycra di solito confinate al tempo libero e mai sdoganate nemmeno per il breve tragitto che separa la palestra da casa, di sandaloni tedeschi portati col calzino (perché in volo, si sa, ci si libera dalle calzature), di bermuda superaccessoriati, di canotte e mutande a vista, di calzoncini inguinali, di zainetti sepolti da tempo immemorabile negli armadi in attesa di gite fuoriporta sempre rimandate, di false vuitton su pantaloni da odalisca, di monili o paludamenti etnici che comunicano al mondo i propri precedenti da viaggiatore internazionale. Negli anni Cinquanta, quando volare era privilegio di pochi, ci si imbarcava con un guardaroba esclusivo. Attrici e miliardarie scivolavano sulle scalette come su una passerella e gli stilisti creavano un glam aeroportuale con capi e accessori particolari. Oggi lo
stile tamarro dei vacanzieri è democratico e trasversale, come i cieli. Smutandate e marsupiati in fila al check-in sono insospettabili professionisti sotto copertura, si vola e ci si veste low cost. Il guardaroba da viaggio è affidato alle migliaia di nuovi ricchi russi e cinesi, per cui volare è ancora un'emozione da vivere con stile.
@boria_a
Stile aeroportuale (fonte Quotidiano.net)


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