domenica 6 novembre 2022

IL LIBRO

 Irene Festa: da serafino a dolcevita, così il cinema ha dettato le parole della moda nel mondo

 

Irene Festa

 


Gli italiani la chiamano “Serafino”, i francesi “Serafinò”, per una volta prendendo a prestito un termine gergale della moda dal belpaese. Per gli americani invece è la “Wallace” e per gli inglesi la “Henley”. Di che cosa si tratta? Nient’altro che della maglietta della salute delle generazioni negli anta inoltrati, la cui denominazione da noi deriva da quella indossata da Celentano nell’omonimo film del 1968. Wallace era invece Wallace Beery, l’attore che la portava da protagonista di uno dei primi film carcerari, “The Big House” del 1930, vincitore di due Oscar, mentre “Henley” fa riferimento alla maglia della tradizionale uniforme della squadra di canottaggio della città di Henley-on-Thames.

 

"Serafino" con Adriano Celentano, 1968

 


Dal grande schermo derivano molti altri termini normalmente utilizzati per definire capi di abbigliamento, prima fra tutti la “dolcevita”, che in Italia si richiama alla maglia a collo alto indossata dal personaggio di Pierone nell’omonimo film di Fellini. Per gli inglesi è la “polo neck”, perchè parte dell’uniforme dei giocatori di polo fin dal 1860, per gli americani la “turtle neck”, simile al collo di una tartaruga, e per gli australiani la “skivvy”, ovvero l’uniforme della classe operaia maschile per decenni e, prima ancora, la parola usata per definire una donna che faceva lavori pesanti di tutti i tipi.
“Zhivago”, dal celeberrimo film del 1965 per gli inglesi identifica due capi molto diversi: la camicia maschile con la fila di bottoni a sinistra, portata da Omar Sharif, e il cappotto con alamari e il collo di pelliccia di Julie Christie. Molto più difficile capire perchè in inglese quella che noi chiamiamo “camicia da medico con bottoni asimmetrici”, in inglese americano sia la “Ben Casey shirt”. Tutto si deve a quella indossata dal giovane chirurgo protagonista dell’omonima serie medica, andata in onda sulla rete ABC dal 1961 al 1966 e ambientata al County General Hospital di Los Angeles.

 

Vince Edward è il dottor Ben Casey nella serie della rete ABC dal 1961 al '66

 


Insomma, raccapezzarsi nel linguaggio della moda non è facile nè intuitivo. Ogni lingua ha termini specifici, legati alla propria cultura visiva, alle tradizioni, allo sport, ai codici degli atelier e passare da una all’altra, in ambienti sempre più globali e connessi, può diventare un’impresa. Ne sa qualcosa la duinese Irene Festa che, approdata a Parigi dopo la formazione all’Istituto Marangoni di Milano, per lavorare come “trend forecaster”, previsore di tendenze, si mise a cercare invano un dizionario plurilingue. Ritornata a Milano nel 2015 per insegnare nella stessa scuola dove si è formata, con studenti oggi in larga parte provenienti dall’estero, Irene ha rispolverato la sua passione per la terminologia della moda e ha cominciato a postare online brevi vocabolarietti illustrati diventati subito virali.


Il lockdown ha fatto il resto. Durante la pandemia i post si sono trasformati in un vero e proprio dizionario, “Moda illustrata. Il linguaggio dell’abbigliamento” (Hoepli, pagg. 365, euro 44,90), un manuale con più di duemila termini in italiano, inglese e francese - le lingue delle tre principali Fashion Week, ma sotto ogni scheda c’è lo spazio perchè i lettori aggiungano altre definizioni, nella loro lingua - e millecinquecento disegni eseguiti dalla stessa autrice, che al Marangoni, oltre a coordinare i programmi didattici, è docente di disegno tecnico.
Dai cappotti ai pigiami, dalle gonne ai costumi da bagno, dall’intimo all’abbigliamento per bambini, per approdare ai dettagli condivisi della parte finale, in cui c’è da perdere la testa nelle varianti di colli, risvolti, maniche, tasche, orli, allacciature, pieghe, arricciature e qualcosa come trentasei polsini diversi da camicia. Compreso quello doppio con bottoni, definito, con un inedito derby nord-sud, sia “Milanese” sia “Napoletano”, ma anche James Bond, perchè Terence Young, regista di “Dalla Russia con amore” e “Thunderball”, fece vestire Sean Connery a sua immagine, portandolo dal suo sarto, Anthony Sinclair e dal suo camiciaio di fiducia, Turnbull & Asser, esperto nel doppio polsino con gemelli.

 

"Dalla Russia con amore", regia di Terence Young

 


«Oggi c’è bisogno di definire correttamente le cose e scendere nel dettaglio - spiega Festa -. Le fonti ufficiali che ho usato risalgono agli anni Ottanta, ma sono riuscita a reperire molti testi introvabili anche anteriori, tra cui il Piccolo Dizionario Tessile in 5 lingue del 1956 e il Four Languages Dictionary del 1989 in edizione giapponese. Le sartorie spesso usano parole diverse, Google traduttore è fuorviante, insomma, sentivo il bisogno di chiarezza. Io stessa ho scoperto molti termini che non conoscevo. Per i miei studenti, poi, è uno stimolo alla creatività: se sai che esiste una serie di colli diversi non ti ritrovi a disegnare sempre lo stesso. Ho inserito nel libro anche una parte di abiti dal mondo, per evitare uno sguardo troppo occidentale e aprire un po’ la mente. Ho tralasciato invece termini legati alla storia del costume, mentre ho recuperato quelli di tendenze tornate in auge. Per esempio la “Gibson girl blouse”, la camicia della perfetta ragazza americana disegnata da questo celebre illustratore, o i capi di una serie di grande successo come Bridgerton».


Il libro è uno strumento di lavoro per studenti, addetti del settore, appassionati, con gustosi aneddoti sciovinistici, considerata la tradizionale rivalità modaiola tra Italia e Francia. Un esempio? Il collo classico della camicia dagli italiani è chiamato “all’italiana”, dai francesi alla francese, mentre quello con le punte allargate, che permette di mettere una cravatta ampia, evidentemente detestato da entrambi i paesi, dai francesi viene chiamato “all’italiana” e viceversa.


Tra i “falsi amici” c’è lo smoking, per gli italiani giacca da sera, per gli inglesi giacca trapuntata che copre quella da sera per evitare che si impregni di fumo, mentre la giacca corta detta “Spencer” deve il suo nome al lord che a metà ’700 ne bruciò le code vicino al fuoco. Nella sezione degli abiti da cerimonia si fa chiarezza su “black tie”, “white tie” e sul completo più elegante, il “morning dress”, in italiano familiarmente “tait”, che contempla tight con garofano all’occhiello, pantaloni a righe grigie e nere, cilindro, ombrello, ed è il vestito maschile obbligatorio per entrare nel Royal Enclosure ad Ascot, la parte riservata ai reali alle corse dei cavalli.

 

Re Carlo, allora "solo" principe Charles, nel morning dress

 


E da “trend forecaster” cosa prevede Irene Festa per il nostro futuro guardaroba? «La prossima estate - dice - torneremo alla gonna a ruota, sulla scia del film “Elvis” di Baz Luhrmann, che ha avuto un grande successo. Quando lo stesso regista girò “Il grande Gatsby”, la moda anni Venti ha resistito per un paio di stagioni. Per individuare le tendenze - spiega - si parte dalla strada, dai cosiddetti “segnali deboli”, cercando di individuare il primo che si veste in un modo diverso. Di solito funziona così: quando abbiamo colto lo “spirito dei tempi” ci vogliono circa due anni per vederlo tradotto in moda. Nel 2025 avremo un’epoca felice, come i brillanti Ottanta dopo il punk e il gothic dei Settanta. E forse ci vestiremo davvero in modo più sostenibile».

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