lunedì 21 agosto 2023

MODA & MODI

 La liberazione del capezzolo

 

Victoria De Angelis

 

 

Dopo i glutei, dopo l’ombelico, è il momento dei capezzoli. L’inverno del loro orgoglio. Tra le tante, confuse e contraddittorie proposte che le cronache di moda ci prospettano per i prossimi mesi, colpisce la consunzione del reggiseno, sotto le giacche ridotto a una linea tra due punti, o la sua eliminazione radicale, sostituito da artistici cappuccetti o adesivi a coprire i capezzoli.

Negli inglesismi modaioli, che paiono nobilitare tutto, si chiamano nippies o pasties. Abbandonato il cassetto degli ammenicoli osé, dell’accessorio da burlesque, del San Valentino di partner a corto di idee, sono diventati un “pezzo” di lingerie, da abbinare a camicie trasparenti e abiti con scollature generose o portare normalmente sotto una giacca. Il motto che corre in rete è #freethenipple, libera il capezzolo, il movimento già da qualche tempo sposato dalle solite celeb in nome di una reale parità tra uomo e donna che passa anche dalla libertà di mostrare il proprio busto nudo, senza correre il rischio di essere bannati dai social.

Con un po’ di confusione si citano precedenti storici, come quello ormai ultraventennale dell’episodio di Sex and The City in cui Samantha fa provare a Miranda in un bar affollato un paio di spartani copricapezzoli in silicone color carne, con l’effetto immediato di calamitare gli sguardi degli uomini presenti, risucchiati dalle propaggini sporgenti sotto la camicia rosso fuoco. Insomma, esattamente il contrario di una liberazione.

Meglio allora, se si cercano solidi precedenti, rifarsi a Karl Lagerfeld che, nel ‘96, sulla passerella di Chanel, fece sfilare le supermodelle Carla Bruni, Claudia Schiffer e Stella Tennant, all’epoca le uniche e autentiche influencer, in un reggiseno infinitesimale ricavato da due minuscole C intrecciate. Allora si diceva di un effetto boudoir in passerella, oggi la liberazione del capezzolo ci viene spiegata come un passo in avanti nella cultura sex positive, dove il corpo nudo non suscita reazioni, di qualunque genere e forma sia, ma fa parte di una serena e sana accettazione sociale.


Certo è che con nippies e pasties gioiello si è completata la “lingerizzazione” del guardaroba. Le calze trasparenti sono diventate i nuovi pantaloni, le mutande si portano con il blazer, il bordo del collant, per nulla celato anzi griffato, sbuca dalle gonne, il reggiseno fa le veci di un top, il sotto si mette sopra. Con sedere e ombelico anche il seno si espone, schermato solo da strisce o triangolini, quel che resta dei reggiseni tradizionali svuotati della loro funzione, oppure è completamente nudo e decorato con copricapezzoli a forma di cuore, di stella, di borchia, di croce, neri o dorati, tutti visti da tempo su Victoria dei Måneskin e su una schiera di cantanti, attrici, modelle, influenti varie, da Lady Gaga a Rihanna, da Cara Delevingne a Miley Cyrus, da Lizzo a Bella Hadid alle ubique sorelle Ferragni.


Gli adesivi piazzati sui capezzoli vengono registrati anch’essi come strumenti di “empowerment” femminile. Consapevolezza di sè, autostima, piacere di mostrarsi quando e quanto si vuole. Il potere del capezzolo, la rivincita di una sporgenza anatomica che per anni abbiamo cercato di dissimulare.

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