mercoledì 7 ottobre 2009

 MODA & MODI

Leonor Fini e Simonetta Colonna di Cesarò, amiche, un'amicizia tra arte e moda



La cliente più detestata? Estée Lauder, la signora dei cosmetici: dispotica, con una figura infelice e poco tempo per le prove. La cliente più disponibile? Leonor Fini: amava pantaloni e camicie che indossava con inimitabile e spavalda eleganza, d'inverno stivali col tacco alto e cappelli di pelliccia alla cosacca. Al contrario di Estée, la pittrice triestina era la cliente prediletta di Simonetta Colonna di Cesarò, che nel suo atelier parigino vestiva principesse e nobildonne, la collega Elsa Schiaparelli e sua nipote Marisa Berenson, Dalila e Zsa Zsa Gabor, Lauren Bacall e Merle Oberon.

«Bruna, istrionica, aveva grande intuito e sensibilità per la moda ed era una gioia vestirla». Così Simonetta, oggi ottantasettenne, ricorda Leonor nella sua autobiografia "Una vita al limite". «Il suo stile era molto personale, semplice, ma sorprendente. Le piaceva moltissimo avvolgersi con fare teatrale in lunghi mantelli ondeggianti, poncho e scialli. La sua tavolozza di colori non cambiò mai: amava il nero, nero con qualche tocco bianco, oppure il rosso».


Leonor e Simonetta si erano conosciute a Roma, durante la guerra. La prima frequentava scrittori e artisti della capitale e si affermava come ritrattista di celebrità italiane e signore dell'alta società. La seconda, figlia del duca Giovanni Colonna di Cesarò, ministro di Mussolini dimessosi dopo l'omicidio Matteotti, e moglie di Galeazzo Visconti, nella primavera del '46 fondava la sua casa di moda, appena ventiquattrenne, annoiata dall'asocialità del marito e desiderosa di rimpinguare il reddito familiare.



Abito e immagine di Simonetta Colonna di Cesarò (Pitti Immagine)


La sua prima collezione era composta da quattordici modelli di "povertà ingegnosa", come li definì la giornalista Irene Brin, ricavati dai materiali che si potevano reperire nell'immediato dopoguerra, strofinacci, grembiuli da giardiniere, uniformi da maggiordomo, anelli da tende, rafia, lacci, spago. Era uno stile disinvolto e originale, una ventata di freschezza che ebbe tanto successo da permettere alla stilista, un anno dopo, di creare anche abiti da sera. Nel febbraio 1951, alla sfilata che segna la nascita del "made in Italy", nella villa fiorentina del marchese Giovan Battista Giorgini, Simonetta presenta le sue creazioni accanto alle sorelle Fontana, Schuberth, Marucelli, Fabiani (che poi diventerà il suo secondo marito) Jole Veneziani, Pucci.

 
Di Leonor, scrive: «Penso di essere stata una delle sue poche amicizie femminili perchè non si curava troppo della compagnia delle donne. L'amicizia, però, era molto importante per lei, che odiava essere sola. Si attorniava di una piccola corte di ammiratori, di solito due o tre giovanotti per i quali rappresentava tanto una dea quanto un mentore. Loro la veneravano e lei li amava a sua volta...». Il rapporto continua negli anni. Nel 1949, Leonor esegue il ritratto di Mita Corti, sorella di Simonetta, opera esposta nella mostra al Museo Revoltella di Trieste dedicata alla pittrice.


Poi dipinge la stilista stessa. Quando Simonetta, col secondo marito, Alberto Fabiani, aprirà una boutique a Parigi, Leonor sarà tra gli invitati, insieme ad Helena Rubinstein ed Elsa Schiaparelli.
"Schiap", appunto. Un altro tassello importante del rapporto che lega Leonor Fini alla moda. Schiaparelli, "quell'italiana che fa vestiti", come la definiva la rivale Coco Chanel, era arrivata a Parigi qualche anno prima della Fini, separata dal marito e con una figlia piccola (Gogo, futura mamma di Marisa Berenson). Da sempre sensibile alle suggestioni dell'arte, si avvicina all'ambiente dei surrealisti, molti dei quali diventano suoi stretti collaboratori. «Lavorare con degli artisti del calibro di Christian Bérard, Jean Cocteau, Salvador Dalì, Vertés e Van Dongen, con fotografi come Honningern-Huene, Horst, Cécil Beaton e Man Ray aveva un qualcosa di esaltante - scrive nella sua autobiografia, "Shocking Life" - ci si sentiva aiutati, incoraggiati molto al di là della realtà pratica e noiosa in cui consiste la fabbricazione di un abito destinato alla vendita». 


Per Schiap, Cocteau disegna motivi di ricami costellati da simboli poetici, Dalì i tessuti con le aragoste, o le labbra rosse, e la borsa-telefono, Jean Hugo crea bottoni-scultura, Elsa Triolet e Luis Aragon progettano un collier di compresse d'aspirina. Ma è Leonor Fini a firmare la "creatura" che percorre tutta la vita della stilista. Leonor e Schiap sono nell'atelier di quest'ultima, in Place Vendome, e scherzano sui capricci dell'attrice Mae West, che, per facilitare la confezione degli eccezionali costumi di "Every day's a holiday", il film realizzato nel 1937 da Edward Sutherland, ha inviato alla stilista una statua di gesso che la raffigura nuda nella posa della Venere di Milo. Mae non vola mai dall'America per provare gli abiti, ma è il suo busto a suggerire a Leonor la sagoma del primo flacone di profumo firmato Schiaparelli, "Shocking!", ripresa negli anni Novanta da Jean-Paul Gaultier.



"Shocking" di Elsa Schiaparelli, con la boccetta disegnata da Leonor Fini ispirandosi al busto di Mae West



Schiap si ritira dalla scena nel 1947. Dopo il ritorno dall'America, dove si era rifugiata durante la guerra, la moda ha cambiato corso, le sperimentazioni e le trasgressioni lasciano il posto alla "restaurazione" di Christian Dior, alle sue donne dalla vita di vespa e le giacche con le stecche, affondate sotto metri e metri di stoffa.


Moda e arte. Ancora una volta, questa storia di incontri, corrispondenze, citazioni, incrocia gli stessi personaggi. Doveva diventare diplomatico il giovane Dior, ma era attratto irresistibilmente dall'ambiente artistico, dove fu accolto con simpatia, omosessuale facoltoso e garbato. Con il socio Jean Bonjean e i soldi di papà, industriale chimico - che non gli permetteva di usare il suo nome per non infangarlo - Dior aveva aperto una galleria e ne aveva fatto un luogo d'incontro mondano dove si potevano ammirare le opere di Paul Klee, Otto Dix, Max Ernst. Sarà proprio la Galerie Bonjean, dal 24 aprile al 7 dicembre 1932, a ospitare la prima personale parigina di Leonor Fini.

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