martedì 12 gennaio 2010

MODA & MODI

Neo-army da sbadiglio

Che sia un modo per esorcizzare l'Iran e l'Afghanistan, com'era negli anni Ottanta per la guerra in Vietnam? O piuttosto, in un momento di confusione e smarrimento, la scusa per riportare nel guardaroba un po' di disciplina, cacciando ogni tentazione di volubilità a beneficio di consistenza nei materiali, forza di linee, decisione nel dettaglio e nel disegno del corpo, uniformità di colori?

O ancora: immaginiamo un prossimo futuro in trincea, così impegnate in una guerriglia quotidiana, da volerci rimettere l'uniforme, da rinunciare a ogni ghiribizzo cromatico per calarci nei giochi mimetici di verdi e marroni, soffocanti, prevedibili, scontati, per quanto gli stilisti cerchino di convincerci che con qualche tagliuzzo qua e là, accorciando un po' le gonne e miscelando cinghie e trasparenze, mostrine e drappeggi, anfibi e pizzo, l'ennesima riedizione del soldato Jane, appena un po' aggiornata e spolverata, riuscirà a saltare dalle passerelle nel nostro guardaroba?
"Militar chic", dicono gli stilisti.


Ovvero: non è un semplice ricorso storico ma un vero e proprio nuovo corso della moda, come se ci fosse sfuggito che, almeno dagli anni '70, quando Yves Saint Laurent calò la signore in un cappottone da ufficiale, ogni due stagioni rispunta la donna-soldato con la sua palette di kaki e verdi, i suoi tascapane e le sue decorazioni farlocche, tanto più finta e insopportabile proprio perchè siamo circondati da soldatesse in carne e ossa che alle guerre, vere, ci vanno per davvero.

Puntuale come l'animalier (quest'anno l'abbiamo chiamato "pop-animalier", una specie di ghepardato all'ecstasy, tutto virato in rosso, blu, fucsia...) riecco lo stile militare che baldanzosamente occupa le anticipazioni della primavera. Non un'ispirazione alla "truppa", ma uno stile che punta agli alti gradi, ovvero ricerca sofisticatezza, aristocraticità, sensualità, disegna il corpo e non lo ingoffa, mette d'accordo praticità e sobrietà con forme lineari ma decise.

Che bisogno ci fosse di (ri)scomodare stellette e dintorni per raggiungere questi obiettivi resta uno dei ricorrenti, ineffabili misteri della moda. Molto più concreto e defatigante dev'essere stato il lavoro degli uffici stampa delle griffe, impegnati a riempire comunicati e brochure di arzigogoli verbali per convincerci che il banalissimo mini-abito mimetico o la giacca coperta di finte onorificenze su un velo di gonna ultratrasparente propongono un'inedita guerrigliera urbana armata solo del suo charme, che gli stivaletti di tela grezza color corda aperti in punta sono una "rilettura" degli anfibi, che la mantellina o la sahariana sabbia rappresentano la versione ingentilita di capisaldi del guardaroba militare.


Insomma, un déjà vu del "mettete fiori nei vostri cannoni", abusato ma utile per compensare una creatività un po' alle corde. Il neo-army catturerà le fashioniste annoiate? O le soldatesse di professione, sempre più numerose e in carriera, convincendole che nel tempo libero è molto trendy travestirsi con la loro divisa?
@boria_a

Blumarine, primavera-estate 2010

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