sabato 17 luglio 2010

ITS TEN a Trieste, ripartire da #

ITS
. Un’anima triestina nell’acronimo inglese. International talent support ma anche la sigla della città. Ricordo la prima conversazione con Barbara Franchin, registrata sul Piccolo del 24 gennaio 2002. Mi spiegava l’idea di nome e logo che già immaginavo poco orecchiabile dal territorio. Un cancelletto color argento per rappresentare la spinta al cambiamento, ma anche l’antica esperienza artigianale della trama e dell’ordito e la piazza planetaria della rete, dove si allacciano contatti, si creano sinergie, volano gli scambi. 


In quell'ITS il suono di Trieste e la rivendicazione di un legame non casuale con il luogo fisico, l’intenzione di non essere un corpo estraneo, calato da fuori, ma di mettere radici nella città di mare e all’epoca ancora di confine, permeabile agli incontri, agli scambi commerciali, alla contaminazione di culture.

Sfida non da poco  e non solo per l’estraneità di Trieste da ogni geografia possibile della moda di oggi. La città, per meteorologia e orografia, non se ne cura, non produce nulla che sia attinente al settore. Sfida su una contraddizione, forse, una delle tante: qui, dove sulle strade tutto è impersonalmente casual-sportivo, dove le griffe ritirano i monomarca e le uniche che si vendono sono quelle facili e urlate, sono nati, fisicamente o per adozione, grandi del made in Italy: Mila Schön, Ottavio Missoni, Raffaella Curiel, Renato Balestra

C’era di che recuperare dal passato, per quegli strani incroci non infrequenti a questa latitudine, su cui, sarà per un perverso coccolarsi nel passato, pare quasi impopolare costruire.
ITS non ha fatto eccezione. Il rapporto con Trieste non è mai nato.  Per dieci anni, la città e il suo acronimo,  si sono guardati con indifferenza, a volte con fastidio. Non chiedere, non aver chiesto a lungo alle casse pubbliche, ha reso il concorso inservibile ai protagonismi. L'intervento di sponsor internazionali ha preteso in cambio un alto tasso di selettività, chiudendo le porte alla partecipazione libera. L’indipendenza economica, nella città dove all’amministrazione si bussa sempre, ha generato sospetto, l’esclusività dell’evento l’ha isolato. 

Ricordo la location sbagliata di ITS Two, in una piazza Unità “suggerita” dallo stesso Comune, che suscitò proteste e surreali raccolte  di firme, a pensarci adesso quasi naif nel salotto buono perennemente ostaggio di palchi e gazebo. Dal Portovecchio all’ex Pescheria la cittadella della moda è “calata” ogni anno sulla città, corpo estraneo, proprio quello che non aveva intenzione di essere.

E oggi? I tagli nei budget dei privati, una volta tanto, sono serviti ad accorciare distanze: ITS cerca appoggi e agganci a Trieste, Trieste e le sue amministrazioni intervengono, sebbene non quanto gli organizzatori si aspettano.
C’è molto da recuperare. Partendo da una domanda: cos'è mancato perchè un evento internazionale, l'unico che la città ha creato ed è riuscita a conservare, scivoli via senza lasciare traccia? Forse bisogna ricominciare da trama e ordito, le parole chiave dell'inizio, per comporre un tessuto dove scuole, università, gallerie, commercianti si sentano parte viva della manifestazione, non spettatori. Aprirsi alla città può aprire altre porte e soprattutto casse.
Trieste non può perdere ITS, ITS non può lasciare Trieste. Questa città così poco di moda è uno dei segreti del suo fascino.
 
@boria_a

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