giovedì 1 luglio 2010

LA MOSTRA

Trieste rende omaggio a Roberta di Camerino, la "sua" signora Giuliana

La prima retrospettiva sulla "signora Giuliana" e la sua moda sarà a Trieste. Ad appena cinque mesi dalla morte di Roberta di Camerino, al secolo Giuliana Coen, stilista veneziana amatissima in tutto il mondo per le sue borse e i suoi abiti trompe l'oeil, il Museo Revoltella ospita una mostra dedicata ai rapporti tra lo stile di Roberta e l'arte, organizzata dall'assessorato alla Cultura del Comune in collaborazione con il Sixty group, oggi proprietario del marchio e custode del suo archivio storico.


"Roberta di Camerino, la rivoluzione del colore", verrà inaugurata oggi alle 18, alla presenza dell'attuale direttore creativo Wicky Hassan, e resterà aperta fino al 12 dicembre, al quinto piano del museo, negli spazi dedicati alla galleria del Novecento.

Roberta di Camerino a Venezia

Venti abiti, oltre trenta tra ombrelli e foulard, molte immagini, ma soprattutto una sessantina di borse dal 1949 al 1974, tra cui la celeberrima "Bagonghi", ispirata da un nano di circo e passata alle cronache mondane come la "borsa della principessa" Grace Kelly:
è questo il percorso che racconta il segno inconfondibile della "dogaressa", i suoi gusti, le sue intuizioni e rievoca quella stagione della moda in cui il "total look", il vestirsi da capo a piedi affidandosi a una griffe, era segno di distinzione e cultura, non di soldi recenti e spesi in fretta.

Grace Kelly con la "bagonghi"
Un omaggio, quello del Revoltella, che ha un doppio primato: è il primo dalla morte della stilista, avvenuta il 12 maggio scorso all'età di 90 anni ed è il primo in un museo pubblico italiano. Ma la mostra vuole anche sottolineare un particolare e poco conosciuto legame tra Roberta e Trieste.


All'inizio degli anni '70, infatti, nel magazzino Sessanta del Portonuovo, nello stabilimento della "Mearo" (anagramma di "amore", che darà il nome anche alla boutique "R" di piazza della Borsa,) venivano confezionati gli abiti "di Camerino" destinati alla produzione industriale e all'esportazione in tutto il mondo, che si avvantaggiava delle particolari agevolazioni doganali del punto franco.

E proprio qui, grazie alla maestria di un modellista triestino, Amedeo Martinolli, la "signora Giuliana", come voleva essere chiamata dai suoi dipendenti, riuscì a far realizzare l'abito "senza pinces", lo chemisier perfetto che assecondava le forme femminili, seno e fianchi, solo grazie alla tecnica del cartamodello.

Una rivoluzione, come lo era stata quella del trompe l'oeil, il vestito "illustrato", su cui la stilista collocava fantasiosamente tutti i capi che una donna poteva desiderare, con relativi dettagli e accessori, dal bolerino alla cintura, dalla cravatta al taschino. Perfino l'orologio con la catenella, come sulla giacca "L'orologiaio", prodotta a Trieste e dedicata da Giuliana a un amico artigiano che aveva bottega vicino all'atelier di Venezia.


Così, lei stessa, nel 1973, spiegava l'idea del trompe l'oeil: «I tempi erano cambiati, non c'erano più le pazienti fantesche ad abbottonare file di gancetti sul dietro. Il mio vestito sarebbe bastato infilarlo, come una lunga maglia. E ci avrei disegnato sopra tutto quanto, persino l'asola slacciata sulla manica, come usano gli uomini più raffinati».


Far diventare gli abiti tele d'arte e confezionare borsette originali per tinte, assemblaggi e forme, contenitori pieni di personalità, a cominciare dal nome diciascun modello (Bagonghi, certo, ma anche Oklahoma, Marmittone, Aspide, Hyde Park, Brigitte, la preferita da Camilla Cederna per quel borsellino dorato applicato 

all'esterno , che diventa il tema di un "Lato debole", la sua famosa rubrica dicostume) sono intuizioni scritte nel destino e nel gusto di Giuliana Coen, facoltosa signora veneziana costretta ventenne a scappare in Svizzera, insieme al marito e al figlio Ugo neonato, durante le persecuzioni contro gli ebrei.

 La borsa "cicisbeo", a forma di tabacchiera
 

È a Lugano che compra pelle, spago e aghi ricurvi e confeziona per sé il primo secchiello, che piace ed è subito richiesto nella cerchia delle conoscenti. Nel 1945, tornata a Venezia, apre un piccolo laboratorio e sceglie di lanciare le sue creazioni come "Roberta di Camerino", griffe nata dal cognome del marito e dalla canzone preferita "Smoke gets in your eyes" dall'operetta "Roberta", allacciati dal vezzo aristocratico del "di". Quando la giornalista Elsa Robiola su "Bellezza" le dedica due pagine, il successo è conquistato. A striscioline di pelle intrecciate e lavorate a telaio, più tardi nei velluti soprarizzo che Bevilacqua, manifattura esclusiva dei pontefici, tesse alla sola luce di una lampada e al ritmo di quaranta centimetri al giorno, le borse firmate "R" non sono più accessori, anonimi e standardizzati, ma pezzi unici, che calamitano l'attenzione per la loro raffinatezza e originalità.



Giuliana è sconfortata perchè gliele imitano, ma l'amica Coco Chanel, già "taroccatissima", la rincuora: «Ma è meraviglioso! È la prova che vali. Lasciali fare. Comincia a piangere soltanto il giorno in cui non ti copiano più...».

La Bagonghi gira gli Stati Uniti al braccio di una giornalista-arpia come Elsa Maxwell (e che scena quando, alla Mostra del cinema di Venezia, nel 1952, la potente cronista mondana si accorge che l'attrice Eleonora Rossi Drago sfoggia pure lei il "nanetto" e che c'è anche un'altra, anonima signora che ha fatto la stessa scelta...) lo stile della "signora Giuliana" conquista prima il mercato americano, poi quello giapponese. Dallo stabilimento triestino della "Mearo" escono ogni giorno dai quaranta ai sessanta capi: il "Kayuki", il "Ducale", il "College" fanno da battistrada tra i modelli di punta. E, prima che l'avventura imprenditoriale finisca, nel 1975, l'azienda triestina fornirà tutti i capi "R" realizzati industrialmente, quelli di maggior successo in almeno venti varianti di colore.


Nel 1956, per ricevere il Neiman Marcus Award, l'Oscar della moda, Roberta vola a New York e conosce Cecil Beaton, anche lui vincitore per i costumi di "My fair lady", e diventa amica della sua testimonial più famosa, Grace Kelly, che porta la Bagonghi rosa e vinaccia sulla copertina dell'Europeo, nel 1959. Un rapporto, quello con la principessa di Monaco, che la stilista non sfrutta mai dal punto divista mediatico, come quello con Farah Fawcett, "charlie's angel" e fidanzata d'America, che a Venezia viene a rifarsi il guardaroba ed è sua ospite.


La sensibilità per i colori e le loro combinazioni è la cifra dello stile firmato "R", «una vera forma d'arte» secondo Salvador Dalì, che apprezza molto la "signora", al pari di Cecil Beaton e De Chirico, ed è probabilmente quello che la spinge a tentare l'avventura degli abiti. Nel 1980 il Whitney Museum di New York le rende omaggio con la mostra, curata da Vittorio Sgarbi, dei disegni delle sue creazioni tirati in litografie, mentre dieci anni dopo, la galleria Mancini di Pesaro, dedica al cinquantenario della griffe una retrospettiva che è, al tempo stesso, un "manifesto" delle invenzioni di Roberta nelle borse: le forme, che prendono spunto dai bauletti ottocenteschi e dalle valigette di fabbri e dottori, poi le cerniere, diventate brevetti, (una - la vediamo in mostra - ricorda quella delle tabacchiere dei cicisbei), le maniglie e le chiusure ispirate alle decorazioni degli antichi cassettoni e agli ornamenti per le gondole. Preziosismi, ma sempre funzionali, mai inutili.


Il Museo Revoltella s'inserisce dunque nella cerchia ristrettissima di enti che hanno cercato di approfondire la ricerca artistica della "signora Giuliana". E chissà che proprio da Trieste parta una riscoperta "critica" del suo lavoro, in particolare per quanto riguarda le influenze e le citazioni della pittura surrealista, l'esplosione dei colori, gli assemblaggi arditi che richiamano la pop-art. Una riscoperta che, per quanto riguarda il vintage, è in atto da tempo su internet, dove le "stagionate" Caravel, Bagonghi, Micowber fanno ancora le primedonne.


@boria_a

Le altre sono tutte foto della mostra al Museo Revoltella di Trieste del luglio 2010, prima retrospettiva dopo la morte della stilista, il 10 maggio 2010 (foto di Francesco Bruni)

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