lunedì 10 settembre 2012

IL LIBRO

E il Vate, precoce stilista, ordina a Lalla: "Devi vestirti sempre di nero"


 Giselda Zucconi, diciassettenne, nel 1881

Disinibite, raffinate, inguantate in calze di seta finissima e con la collana ombelicale, eteree apparizioni in una nuvola di Chanel n.5. Le sue "belle di notte", le ospiti del Vittoriale, Gabriele d'Annunzio le voleva così, nella divisa d'ordinanza del piacere. Non si limitava a guardarle e a goderne, come più modesti epigoni dei giorni nostri, permettendo che venissero ammesse nelle sue stanze in straccetti qualsiasi, purchè sbarluccicanti. Per loro, il Vate diventava stilista, griffando con "Gabriel Nuntius Vestiarius fecit" audaci e modernissime "vesti magiche", abiti da sera e deshabillés, trasparenti, percorse da rushes e fili metallici, nere o nei colori pastello.


Sulle donne, e come gli piacevano abbigliate, d'Annunzio aveva le idee chiare fin da giovanissimo. Una fantasia ancora lontana dalle future iperboli, ma già sicura nella grammatica dei colori e nello stile. Lo sperimentò, per prima, la fidanzatina del Vate adolescente, Lalla, al secolo Giselda Zucconi, "strana bimba dagli occhioni erranti come il mare". Sarebbe diventata la nonna del vecchio leone della Lista per Trieste Gianfranco Gambassini, che la ricorda, insieme alla sua precoce e impegnativa love story, in "D'Annunzio avrebbe potuto essere mio nonno" (Archeografo triestino, 1998).
Lalla, ispiratrice del "Canto Novo", è la grande passione del poeta diciottenne. Il padre di lei, Tito, insegnante al liceo Cicognini di Prato, invita a casa il suo allievo più brillante. È il 15 aprile 1881: una passeggiata pomeridiana lungo il Mugnone fa da cornice al colpo di fulmine.


Pelle di crema, capelli folti, diciassettenne già profondamente "dannunziana". «Mia bella bambina pallida e sofferente» le scrive Gabriele in una delle quattrocento lettere che i due ragazzi si scambiano, fino al 31 gennaio 1882, quando il carteggio si chiude e lui sarà risucchiato da braccia ben più esperte. Lalla gli piace evanescente, ma sull'abbigliamento non ammette colpi di testa e di colore: deve portare il nero. E in un'altra lettera le suggerisce, con tono imperioso: «Tu vuoi sapere come m'è parso il ritratto... Mi sarebbe piaciuto che tu non ti fossi messo quel ricciolo bianco intorno al collo. Io, vedrai, quando sarai mia, ti farà ammattire; penso già come dovrai andar vestita, ti piaccia o non ti piaccia. Detesto, detesto, detesto, il chiaro in una donna, e in una donna poi come te. Se tu sapessi com'è divino il tuo pallore su'l fondo cupo! Vedrai insomma: ti farò io il figurino, un figurino co' fiocchi, e ti garantisco che dopo un mese molte signore ti imiteranno».


Lalla cede, davanti a quel giovanottino, all'epoca neanche tanto curato - quando peregrinava per le redazioni indossava sempre una giacchetta scura, a volte senza nemmeno la cravatta, ricorda il giornalista Edoardo Scarfoglio - ma con un modello femminile ben disegnato in testa. Pochi giorni dopo sarà lui stesso a intervenire nel guardaroba dell'amata e la ringrazierà, in una lettera del 23 maggio, "per il pensiero gentile che hai avuto nel dirmi che scelga io la stoffa del tuo vestito". Un mese più tardi le scrive ancora, facendole notare gli svarioni cromatici delle altre, annotati durante una passeggiata a Prato, che le fanno assomigliare a uccelli mimetici: «Le donne pratesi nel loro vestire preferiscono generalmente le tinte gialle cromes e le verdi sgargianti. Sono antipaticissime. Figurati una Signora coperta di giallo e di verde come un rigogolo! Oibò!!!«


Del Vate arbiter elegantiarum, cronista mondano e couturier racconta Paola Sorge nella monografia "Gabriele d'Annunzio padre dello stile italiano" (Silvana Editoriale, pagg. 117, euro 22,00), primo volumetto di una serie dedicata al poeta e al Vittoriale, che raccoglie gli atti del convegno svoltosi l'8 luglio 2011 in occasione della mostra, con lo stesso titolo, allestita all'Aurum di Pescara. 



Gabriele d'Annunzio sulla copertina del primo volume de "L'Officina del Vittoriale"
 

Quarant'anni dopo le prime missive, una lettera all'amante Ines Pradella, modella del pittore Cadorin, scritta nel febbraio 1930, sembra il "remake" di quelle indirizzate a Lalla, e ci restituisce la stessa indomita volontà di plagiare esteticamente le sue favorite: «Ti prego di mettere il vestito grigio e non quello dell'altra sera che è orribile e che non voglio più vedere. Non comprare vestiti: ti darò io quelli che ti si addicono, quelli che mettono in rilievo la tua bella persona».

E sui regali d'Annunzio non lesina (e spesso non paga, "ardens avaritia"). Vestiti, pellicce, i gioielli di Buccellati (che ribattezza "Mastro Paragon Coppella"), scialli, calze, borse e le scarpe pregiatissime di Adolfo Quinté di Milano, cui affida i "piedini meritevoli di essere ben calzati" di Ester Pizzutti, una delle belle provincialotte che voleva trasformare in donne sofisticate.


In quegli stessi anni, Biki - al secolo Elvira Leonardi Bouyeure - inizia la sua carriera di stilista con una ditta di biancheria intima di lusso, in via del Senato 8 a Milano, una vera novità per l'Italia. Il Vate - che lei ha conosciuto da bambina nella villa di Viareggio del nonno, Giacomo Puccini - la chiama "domina", signora, ma anche "dominatrice" dei gusti delle signore, e le chiede elaborate camicie da notte nei colori delle pietre dure che provvede a inviarle. Grazie al poeta, o meglio, al brillante giornalista mondano che esalta le toilette femminili, all'uomo di mondo conteso dai salotti, Biki entra nel mondo dell'alta moda e veste aristocratiche come Edda Ciano e le dive dell'epoca Alida Valli, Isa Miranda e Doris Durante.


Ma lui non si limita a descrivere ed esaltare. Disegna i modelli, modifica, dipinge "con mano volante" la seta per gli abiti, che poi ordina alla maison Paul Andrée Léonard, fornitrice di stoffe francesi in tutta Italia, indicando maniacalmente le tonalità che desidera, oggi diremmo le "sfumature". In mostra a Pescara erano esposti nove modelli di alta sartoria confezionati per Luisa Baccara, di cui uno estivo nei colori fiumani rosso e azzurro e a "disegni fiammeggianti", gli stessi utilizzati per i "quadrati magici", foulard con impressi i suoi motti di guerra.


Siamo nel 1930 e il Vittoriale è un autentico laboratorio "di sarte e modiste". Molti anche gli atelier di prestigio che riforniscono la villa, Maria Testa di Milano, sua sorella Emilia, Marta Palmer, di cui d'Annunzio è affezionato cliente fin dal 1919 e a cui si devono preziose e costose "mise" dai nomi evocativi: Cleopatra, Mio Capriccio, Orient Express, Villa Fiorita. Non altrettanto affezionato, il poeta, nel pagamento dei conti, almeno fino al 1925, quando una lettera dell'avvocato della Palmer gli intima di saldare subito 42.505,60 lire. Un mantello verde ricamato con collo di pelliccia costava 2.600 lire. È il "mantello d'autunno" che d'Annunzio manda alla Baccara nel 1924, mentre la pianista soggiorna all'hotel Cristallo di Cortina. I debiti possono aspettare, piuttosto è urgente soccorrere il gusto dell'amante: «Venturi scrisse ad Aélis di averti veduta in piazza e d'averti trovata "non elegante". Ti mando altre 5000 lire per provvedere all'eleganza».
twitter@boria_a

 Luisa Baccara nel giardino del Vittoriale

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