sabato 27 settembre 2014


IL LIBRO
Misia Sert, dominatrice di pianoforti
( Misia Sert ritratta da Félix Vallotton e fotografata di profilo nel 1872 da Alfred Athis)





Tre mariti e un catalogo di "protetti" che, da solo, basta a raccontare il clima straordinario delle avanguardie artistiche del primo Novecento: Mallarmé, Verlaine, Diaghilev, Proust, Debussy, Ravel, Stravinskij, Satie, e poi Toulouse-Lautrec, Renoir, Picasso, Bonnard, i pittori che ne hanno fatto la donna più ritratta del secolo, forse di sempre. Ha ispirato versi, spartiti, quadri, assicurandosi per l'eternità - lei, che non leggeva molto e non era particolarmente colta - un posto d'onore in musei e biblioteche di tutto il mondo.
Si chiamava Misia Sert, talent scout per eccellenza, mecenate e Pigmalione, sicuramente la musa incontrastata, e tirannica, della Belle Epoque. Adelphi ripropone oggi le sue memorie, uscite postume nel 1952 e pubblicate dalla stessa casa editrice nell'81, in una nuova edizione con un ricco apparato iconografico e un saggio di Claude Arnaud.
Nata nel 1872 Maria Godebska, da Cyprien Godebski, scultore polacco noto in tutta Europa, e Sophie Servais, figlia di un ricco violoncellista, morta dandola alla luce dopo essersi sobbarcata il viaggio di migliaia di chilometri fino in Russia per scoprire un tradimento del marito, Misia da piccola aveva giocato sulle ginocchia di Liszt e imparato a suonare ancor prima di leggere.
Un destino in qualche modo segnato: procace, talentuosa, provocante, bizzarra, avida di vita e di conoscenze, a quattordici anni è già un'eccellente pianista e a 18 si mantiene dando lezioni di musica che le procura il suo maestro, Fauré. Di lì a poco, facendolo piangere di rabbia, convola alle prime nozze col cugino Thadée Natanson, figlio di un facoltoso banchiere ebreo polacco e co-fondatore della rivista di arte e letteratura "Revue blanche", palestra dei pensatori dell'epoca, i cui illustratori riempiono di opere le pareti dell'appartamento della coppia e ritraggono più volte il viso e la silhouette della giovane signora.
Misia non è un'intellettuale, ma fiuta la forza creativa negli altri. Protettrice avida e capricciosa, implacabile nel dare e togliere, apre la sua casa agli artisti, li avvolge con la sua benevolenza, li circuisce, li soffoca, salvo poi liberarsene con noncuranza una volta annoiatasi o avvistata una nuova preda. Mallarmè, che la chiama "dominatrice di pianoforti", infatuato della sua bellezza fulva, le regala un ventaglio, ma lei candidamente ammette di non raccapezzarsi coi suoi versi: «Mi piace moltissimo stare ad ascoltare cose estremamente intelligenti che non capisco bene». Pare che Proust si sia ispirato a lei per il personaggio di Madame Verdurin della Recherche, altra donna che godeva nel gestire la vita dei suoi protetti e metterli l'uno contro l'altro per il premio dei suoi favori. Non sopporta Caruso ed è l'unica ad alzarsi nel bel mezzo di un gorgheggio durante una prova generale: «Basta, non ne posso più» grida, lasciando il tenore basito. Si vanta di aver ispirato a Renoir sette o otto ritratti e di aver distrutto tutte le lettere d'amore ricevute da lui. Un giorno il pittore le chiede di slacciarsi il corpetto per esaltare il suo seno, ma lei si nega: «Dopo la sua morte - dirà in seguito - mi sono spesso rimproverata di non avergli lasciato vedere tutto ciò che voleva». L'unico a dipingerla nuda sarà Pierre Bonnard.
A ventotto anni la "tigre infiocchettata", come la chiama Cocteau, fa girare la testa ad Alfred Edwards, finanziere senza scrupoli, potentissimo proprietario del giornale "Le Matin" che, per liberarsi del primo marito di Misia, Thadée, lo spedisce in Boemia a occuparsi delle sue miniere e poi la impalma, ripianando i debiti. È un uomo violento, traditore ma gelosissimo, da cui lei si fa letteralmente "comprare". Con i suoi soldi, finanzia i Balletti russi di Diaghilev e spinge verso l'impresario tutti i musicisti che ammira, Debussy, Ravel, Satie, Poulenc.
La Ninfa Egeria è diventata pantera, procacciatrice d'affari. Attrae i musicisti col suo magnetismo, come aveva fatto con pittori e scrittori, e si bea che nessuno possa più prescindere dalla sua influenza. Esalta e umilia, coccola e abbandona, si impiccia di tutto: corre in aiuto a Toulouse-Lautrec colpito da sifilide, fa assegnare una pensione a Madame Debussy, abbandonata dal compositore, aizza Diaghilev contro l'avidità di Stravinsky e poi rimette pace fra i due. Satie la definisce "comare Ammazzatutto", Cocteau "mammana", entrambi riferendosi alla sua furia distruttrice nei confronti dei cuccioli che non ha covato.
In questo rutilante e incessante andirivieni di talenti, l'unica sua autentica scoperta è Coco Chanel, modista di provincia, diamante grezzo, che Misia taglia e leviga a contatto con la buona società parigina e che trasforma nella Mademoiselle di Rue Cambon, forse suggerendole anche la sua creatura immortale, il profumo n. 5. «L'unica donna di genio che abbia mai incontrato», dice di lei Chanel.
Ma il suo tempo è ormai compiuto. La pantera è sfatta, la figura appesantita, la patrona è diventata matrona. Accetta perfino un ménage á trois con la giovanissima scultrice Roussy Mdivan, pur di non perdere il terzo marito, il decoratore José María Sert, etilista e schiavo delle droghe, l'unico che abbia amato. Mentre la vista l'abbandona, detta la sue memorie e si consuma aspettando la quotidiana iniezione di morfina. Nel 1950 se ne va la prima lobbysta globale delle arti, che le ha esercitate tutte senza mai creare niente.
twitter@boria_a

Nessun commento:

Posta un commento