IL LIBRO
Claudia Serrano, Mai più così vicina
Lui, Vittorio, l'editore
brillante e colto, bello e playboy di default, la chiama la "cosa".
Non una storia, non un rapporto, nemmeno un sostantivo ondivago e incolore come
relazione. Quella con Antonia è la "cosa". E se le parole definiscono le
"cose", assegnano loro un contorno, un'identità, un posto nel mondo, quella
"cosa" ,che gli esce dalla bocca sempre preceduta dai puntini di
sospensione, da un'esitazione, una riluttanza anche solo verbale, e' una cosa inevitabilmente monca, sbilanciata,
singhiozzante.
Si intitola Mai più così vicina l'esordio
letterario di Claudia Serrano, giovane barese laureata in Filologia romanza e di professione libraia, di
cui Giunti ha appena pubblicato la prima opera (pagg. 224, euro 12,00). La trama e' leggera, una
storia d'amore a senso unico tra l'uomo fascinoso e socialite e la giovane che
dal meridione sbarca a Milano per scrivere il suo romanzo e finisce per
sentirsi un'estranea nella città che ti toglie la sedia da dietro se hai la tentazione
di accasciarti, dove, tra happening e apericena, si impara a sorridere più di quanto si è contenti. Antonia è quella
che mette i tacchi anche per fare la spesa, che resta ai bordi delle
conversazioni salottiere, che ai convegni porta i vestiti più eleganti, ma mai
dell'eleganza giusta, casualmente ricercata e ricercatamente casuale, per essere una di "loro", degli "altri".
L'epilogo lo conosciamo fin dalle
prime righe, che raccontano di un'Antonia sveglia nel letto a contare e
ricontare i trentanove nei sulla schiena di Vittorio, senza toccarlo, senza
nemmeno sfiorargli la pelle, perchè quel contatto trascinerebbe con sè domande,
richieste, la perimetrazione della "cosa". E le sue parole risuonano
nelle orecchie: "Comincia a renderti felice da sola. Credere alla felicità che possono darti gli altri
è una follia".
Quel che colpisce non è l'intreccio, ma la
desolazione, la lucida disperazione di cui è impastata ogni riga, il dolore lancinante, come un
morso contro un dente sensibile, con cui l'autrice registra lo srotolarsi
inesorabile dei fatti verso la loro fine naturale. "Non fargli sentire il
peso delle tue aspettative. Non disturbare, ma ricordagli che ci sei.
Ricordagli che ci sei, ma senza disturbare. Sii leggera e sii sostanziale.
Muoviti come un ospite nella sua vita, nelle vite degli altri si entra in punta
di piedi. Bussa al suo cuore, ma fallo lievemente e a lunghi intervalli".
Più lei
accetta di stravolgere vita e progetti per far posto al sentimento, più lui ne è spaventato, spiazzato, infastidito, e si ritrae nella
roccaforte delle abitudini.
Anche Silvia, la ragazzina down
protagonista del romanzo che Antonia sta scrivendo, "Il mandorlo
perfetto", scopre quanto farsi invadere dall'amore renda fiduciosi di sè e
ostinati davanti a qualsiasi sfida, fino a quella più disperata: farsi carico
delle assenze, delle mancanze, delle insufficienze, pensare che sia possibile
amare per entrambi, supplire l'altro. Ma Vittorio segna i confini, senza
remissione: "Quello non è amore, Antonia, è una continua aspettativa sulla
testa di chi è
oggetto di quel sentimento. Donarsi totalmente può essere romantico, commovente, senz'altro. Ma
impoverisce sia chi prova quel sentimento sia chi ne è oggetto...Io so cosa penso
io: per me non è
auspicabile essere amati così. Ed è disonesto amare così ".
Il viaggio dentro la
"cosa" chiamata amore dura dieci giorni, gli stessi che servono per
fare il dolce di Padre Pio, una specie di catena gastronomica che Antonia
riceve in dono perchè si
prenda cura di qualcosa e intanto impari a "ricomporre" il dolore in
rassegnazione. Che si tratti di autobiografia è quasi una certezza, ce lo suggeriscono i versi del poeta friulano Pierluigi Cappello, scelti come introduzione: "scrivere
come sai dimenticare, scrivere e dimenticare".
Finale consolatorio, ed è l'unica pecca. Davanti
all'impasto informe che cresce in forno, le due protagoniste, Antonia e Silvia,
guardano la normalità che continua, quasi fosse una magia.
twitter@boria_a
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