Inseparabili tra Trieste e Lipsia, un'amicizia in lettere lunga 43 anni oltre la Cortina di ferro
Una storia già pronta per diventare sceneggiatura. E un’amicizia che ha attraversato la Storia, dalla Germania a Trieste. Hanno Speich e Manfred Haller sono due ragazzi nel dicembre del 1943, quando una bomba cade tra le loro case, a Lipsia, apre un cratere di sei metri e devasta le loro vite. Tre anni dopo, la famiglia Speich, papà tedesco, mamma Hedy, triestina di genitori viennesi, tre figli di cui il quattordicenne Hanno è il più grande, lascia rocambolescamente la città tedesca e arriva a Trieste.
Si scriveranno per quarantatrè anni, Hanno e Manfred, prima che la caduta del Muro consenta loro di telefonarsi e infine riabbracciarsi. Un carteggio lunghissimo che oggi è diventato un libro, “Inseparabili. Storia di un’amicizia oltre il muro” (Nuovadimensione, pagg. 336, euro 18,00).
Trieste, all’epoca sotto il governo militare alleato, è la città della nuova vita della famiglia Speich. Trieste dove Hanno comincia faticosamente a studiare al liceo Oberdan, con poche parole d’italiano e nessuna in latino, dove suo padre sarà ricoverato a San Giovanni e subirà un trattamento terribile, dove, allo Yacht club Adriaco, imparerà a conoscere il mare e la vela. Trieste la città della laurea in Ingegneria e del grande amore, Fiora (con lui in una foto dell’estate 1956). Una storia che, lettera dopo lettera, racconta all’amico Manfred, rimasto a Lipsia a difendere dal regime comunista la fabbrica di famiglia, fondata nel 1897.
Abbiamo chiesto ad Hanno Speich, dirigente in pensione di una multinazionale tedesca con sede a Milano, di ripercorrerla insieme a noi.
Tutto comincia... «Il 4 dicembre 1943 Lipsia fu bombardata a tappeto dagli inglesi. Venti minuti tremendi, mille morti, centocinquantamila persone senza più un tetto. Una bomba cadde tra le nostre case, la mia e quella di Manfred, avremmo potuto morire tutti. Quando la guerra finì, mio padre tornò subito a casa. Proveniva da un campo di prigionia americano in Cecoslovacchia, che chiuse due mesi dopo. Riprese il suo lavoro di prima, il commercialista, non era una persona che poteva destare sospetti: in Normandia, dopo lo sbarco alleato, guidava un’ambulanza della Croce rossa che portava i feriti negli ospedali da campo...».
Eppure qualcosa successe...«Fra i suoi clienti c’era un cementificio a partecipazione olandese. Mio padre fece il bilancio e lo mandò a tutti gli azionisti, ma questa spedizione fuori dalla Germania lo mise in difficoltà. I servizi segreti sovietici lo sospettarono di spionaggio economico. Sparì per settimane, mia madre non riusciva a sapere niente della sua sorte nè dalla polizia tedesca nè dal comandante russo della città di Lipsia, perchè i servizi operavano in completa autonomia. Quando riapparve era una persona diversa. L’avevano trattenuto nel carcere di Grimma e interrogato con metodi pesanti. Aveva il terrore di tutto e decise che saremmo fuggiti dalla Germania. Era il maggio 1948».
Uno degli ultimi incontri nella casa di Manfred con gli amici nel maggio 1948. Il primo a sinistra è Manfred e l'ultimo a destra è Hanno, solo pochi giorni dopo profugo e esule. |
E finalmente avete mangiato... «Dopo i brodi di patate della Germania, in Austria il corpo chiedeva incessantemente “volume” di cibo. Mangiavamo e mangiavamo, ma ci alzavamo da tavola ancora con fame. Dopo lo spostamento in un’altra pensione, in Carinzia, il nonno, nel frattempo rientrato a Trieste, trovò un amico per farci attraversare il confine vicino a Tarvisio. Quest’uomo era nervosissimo, finì che ci perdemmo e mia mamma si mise a gridare nei boschi col rischio di farci scoprire. Alla fine riuscimmo a prendere la corriera che da Tarvisio ci portò a Monfalcone. Questa era la parte più difficile del viaggio, perchè non avevamo i documenti per il Territorio libero di Trieste».
Come siete entrati in città? «Il passaggio via terra era escluso. Il nonno però era socio del club Adriaco, dove aveva una barca e andava a giocare a bridge ogni pomeriggio. Era molto stimato in quell’ambiente. Così due soci, Giorgio e Laura Hauser, proprietari di una fabbrica di sapone, accettarono di portarci clandestinamente a Trieste sulla loro barca da regata di 12 metri, il “Liebling”, costruita a Pola. Appena saliti ci “travestirono” da marinai e ci nascosero sottocoperta. Fuori dal canale di Monfalcone fummo anche inseguiti da una motovedetta della Guardia di finanza italiana, che ci intimò l’alt ma poi fortunatamente restò in panne per una sciroccata. Arrivammo nel porticciolo di Sistiana e ci fermammo a mangiare al ristorante Castelreggio. Spaghetti che si scioglievano sulla lingua, ma dovevo concentrarmi su come girare la forchetta».
Hanno con nonno Josci, nel 1939, attraversano il golfo davanti al Porto vecchio di Trieste |
E la scuola? «Mamma e io andammo a parlare col preside del liceo scientifico Oberdan, Lazzarini. Lesse con attenzione la mia pagella del Karl Marx Gymanasium e poi commentò: “Ma senza latino come si fa?”. Mi disse che ci voleva un anno di lezioni di italiano e latino, per poi sostenere l’esame in tutte le materie e iscrivermi a scuola nel settembre 1949, al secondo anno. Fu Lazzarini a indicarmi il professore che mi avrebbe seguito, si chiamava Tagliapietra, un suo amico già in pensione. Tutti i giorni, sabati e domeniche compresi, andavo a casa sua in via Tor San Lorenzo. Avevo una paura tremenda dell’esame. Però già quando eravamo in Austria mia mamma ci aveva comprato una grammatica, lei aveva una grande sensibilità per l’italiano e ci trasferì il suo entusiamo. Scoprii che questa lingua con tante vocali a poco a poco mi entrava. Passai l’esame e mi iscrissi al liceo».
Com’è riuscito a farsi degli amici? «Il nonno mi iscrisse al corso allievi all’Adriaco. Lì era ben conosciuto e io non ero certo un “profugo”. Presi il suo cognome, Péntek, che in ungherese vuol dire venerdì, e Hanno si trasformò in Giovanni, com’è riportato sul mio diploma di maturità. All’Adriaco diventai amico di Sciarelli, una personalità straordinaria, che poi è venuto anche al mio matrimonio. Quando capirono che mi ero appassionato mi affidarono una jole olimpica, si chiamava “Axum”».
La sua futura moglie invece... «Un compagno di classe mi aveva parlato di Fiora, ma lei aveva altri pretendenti. Fu secca: “Non telefonarmi più”, poi se ne andò due anni negli Stati Uniti. Dieci anni dopo il nostro incontro, quando lavoravo a Milano, le telefonai e lei accettò di uscire. Mi presentai in via Tiepolo a Trieste con un’Alfa coupè bianca col clacson bitonale. Quando suonai si aprirono tutte le finestre, devono aver pensato che ero un bel maleducato. Ci siamo sposati dopo pochi mesi e siamo insieme da 53 anni».
Hanno Speich e Fiora Cuppo nell'estate 1956 sulla barca sociale "Carlo Strena" dell'Adriaco |
Hanno e Fiora con le figlie Sabrina e Marina davanti al Castello di Miramare nell'aprile 1970 |
Com’è stato rivedere il suo amico Manfred? «Noi tedeschi siamo romantici. Ci siamo scritti per 43 anni, ma io ci ho messo tanto tempo prima di decidermi ad andare a trovarlo. Prima ci siamo telefonati, perchè appena riunificata la Germania, la Deutsche Telecom ha esteso la rete dei cellulari a Est. Poi, la prima volta, mi sono fermato a Berlino. “Chissà se avremo qualcosa da dirci”, mi chiedevo. E invece è stato come se ci fossimo lasciati il giorno prima».
@boria_a
Hanno e Fiora oggi fotografati allo Yacht club Adriaco da Massimo Silvano per Il Piccolo |
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