mercoledì 29 gennaio 2014

 IL LIBRO

La prof Ottilia nel 1892 bruciò la Parodi 



Benedetta Parodi

Il "Cotto e mangiato" di Benedetta Parodi ha un antenato illustre a Trieste. Correva l'anno 1892 quando l'editrice Styria di Graz pubblicò la versione italiana del fortunato Süddeutsche Küche, uscito originariamente nel 1858 e firmato da tale nobildonna Katharina Prato, nata Polt, che ricavò il nome d'arte accorciando il cognome del primo marito, Eduard Pratobevera, mantenuto anche quando, rimasta vedova, convolò a nuove nozze. Era un vademecum per chi si metteva ai fornelli, certo con più tempo rispetto alle odierne lettrici della Parodi, ma con altrettanta scarsezza di nozioni base.

"Nelle mani delle donne" Maria Giuseppina Muzzarelli



L'edizione italiana del testo della Prato, si intitolò "Manuale di cucina per principianti e per cuoche già pratiche" e ad adattarlo ai gusti e ai costumi nazionali fu chiamata Ottilia Visconti Aparnik, maestra di cucina al corso di economia domestica del Civico liceo femminile di Trieste. L'approccio era da insegnante, didattico e pratico: ecco allora che, alle "donne di casa" cui si rivolgeva Katharina, da intendersi non come "desperate housewives" con la debolezza dei fornelli, ma come addette a dimore borghesi e nobili, la signora Ottilia aggiunse le esordienti assolute, da equipaggiare con un corredo adeguato di nozioni premilinari, spiegazione dei termini di cucina, glossari.
Il manuale triestino fu un successo, come lo era stato quello in lingua tedesca. Venne adottato nei corsi di economia domestica, lo si rintracciava nelle cucine degli alberghi di montagna, è citato nei manoscritti dei ricettari popolari. Un vero e proprio abbecedario, che precede di otto anni il primo manuale interamente italiano scritto da una donna, "Come posso mangiar bene?", firmato da Giulia Ferraris Tamburini e pubblicato nel 1900 da Hoepli. Da allora, si moltiplicarono le scritture femminili sul tema, fino alle odierne guide veloci di Antonella Clerici, Federica de Denaro, Tessa Gelisio, che occupano intere sezioni di librerie. Prima di Ferraris, nulla o quasi. È infatti datata 1397 una ricetta scritta da una donna ma giunta fino a noi grazie all'importanza di suo marito, il mercante Francesco di Marco Datini. Lui ha nostalgia dei piatti di casa, la consorte Margherita gli fa pervenire la ricetta dei piselli e il messaggio inequivocabile della sua insostituibilità domestica: "sono un pocho malagevoli", "non ve ne maravigliate perchè lei non gli sapi chuocere...".
Curioso, ma lo scrivere di cibo per le donne è conquista recente. Mentre le prime femministe si liberavano dalla "casalinghitudine", fornelli inclusi, la trattatistica sul cibo rimaneva saldamente in mano agli uomini. Sono i maschi a dettare le regole dell'esecuzione culinaria, sia in età romana, col ricettario di Apicio, sia nel medioevo, quando Maestro Martino da Como compilò, tra il 1464 e il 1465, il Libro de arte coquinaria, dopo essere stato alla corte di Francesco Sforza e quindi del patriarca di Aquileia. Due curiose eccezioni: suor Maria Vittoria Verde che, intorno alla fine del 1500, nel monastero di San Tommaso a Perugia, mise insieme un ricettario con intenti di edificazione spirituale e la monaca messicana Juana Inés de la Cruz, donna molto erudita, che, un secolo dopo, teorizzò come in cucina, tra budini e sgonfiotti, si potesse anche far filosofia: "se Aristotele avesse cucinato, avrebbe scritto molto di più".


Maria Giuseppina Muzzarelli


Nelle mani delle donne (Editori Laterza, pagg. 200, euro 16,00) di Maria Giuseppina Muzzarelli, docente di Storia medievale e Storia delle città a Bologna e di Storia del costume e della moda a Rimini, è un saggio affascinante sul rapporto tra donne e alimenti, che va a ritroso nel tempo, da Lady Gaga vestita di bistecche al sangue (messaggio: mi concedo in pasto ai fan come un oggetto da divorare) a Ildegarda di Bingen, badessa di San Disibodo vicino a Magonza, che all'inizio dell'anno Mille nel suo "Libro delle creature", non dà ricette ma fornisce pratiche nozioni di cucina. La sua "dieta", poco ascetica, era basata su salmone, luccio e trota e, tra le carni, su manzo, agnello, lepre, quaglia, pernice, oca, gallina e anatra selvatica: di ciascun alimento, indicava modo di cottura, proprietà e destinatario ideale.

 
Lady Gaga nell'abito ideato da Nicola Formichetti


Donne e cibo: ovvero donne nutrici nell'allattamento, donne dall'appetito vorace e, per proprietà transitiva, a letto seduttrici, donne continenti a tavola e quindi penitenti, donne custodi dei segreti di erbe e pozioni, utilizzati per curare e, in molti casi, per avvelenare mariti e nemici. E donne che scrivono di cucina, come la celebre Petronilla della "Domenica del Corriere", al secolo Amalia Moretti Foggia, terza donna laureata in medicina in Italia e prima pediatra: la rubrica "Tra i fornelli", che iniziò nel 1927 (del '35 il suo primo libro di cucina), era tutt'altro che una superficiale guida per combinare quattro pietanze, ma un insieme di suggerimenti che sposavano buona tavola, salute e budget limitato, in un periodo in cui le donne si trovavano ad assumere funzioni e impegni maschili, con un occhio a far quadrare il bilancio.


 
Amalia Moretti Foggia, Petronilla


La cucina e l'economia del tempo di guerra, la cucina autarchica, le ricette per tempi eccezionali, i "desinaretti": negli anni precedenti e poi durante il secondo conflitto mondiale, i fornelli diventano il luogo di resistenza e combattimento delle donne. C'è anche il "last minute market" ante litteram, con il moltiplicarsi di testi che insegnano a non sprecare, a ricavare menù da torsoli di verze e interiora di pollo, a non buttare nell'immondizia ciò che può essere riutilizzato.
Dai pochi ingredienti al poco tempo. La cucina rapida è una conquista delle donne che sempre più lavorano fuori casa (nel 1961 sono il 40%, tra i 20 e i 50 anni), la sottrazione a un destino dato per scontato. Quando poi, a conflitto concluso, si diffondono in Italia frullatori, microonde, tostapane, frigoriferi ultimo modello, il manuale non può essere che il "Contaminuti" di Elena Spagnol, uscito nel 1967. Dieci anni prima negli Stati Uniti era stata pubblicata "La mistica della femminilità" di Betty Friedan che smontava la costruzione maschile secondo cui l'altra metà del cielo dovesse accontentarsi di curare al meglio casa e famiglia e, tre anni dopo, un significativo "The I hate to housekeep book", che, usando il verbo "odiare" riferito al regno domestico della regina della casa, enfatizzava velocità e convenienza degli ingredienti, per ottimizzare tempo e spesa.


 
Betty Friedan autrice de "La mistica della femminilità"


Da qui, alle religiose davanti alle pignatte, come la celebre Suor Germana con la rubrica su "Famiglia Cristiana" e i libri di angeli cucinieri, ai quattro salti in padella di giornaliste e conduttrici televisive, il passo si fa più rapido. Man mano che le donne escono dalle cucine reali, entrano a pieno diritto in quelle letterarie: compilano manuali di rapido consumo, scrivono memorie a partire dalle ricette di famiglia, indagano la storia individuale o collettiva attraverso sapori, vivande e quaderni domestici. È nato un canone letterario, nel quale anche l'insegnante triestina Ottilia Visconti Apparnik ha messo il suo tassello. Perchè, come insegnano il Sessantotto e Lévi-Strauss, i veri rivoluzionari e conservatori si svelano proprio a tavola. 

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