giovedì 3 maggio 2018

L'INTERVISTA

Ecco la libertà totalitaria di Francesco Magris




«Libertà totalitaria»: un ossimoro? S'intitola così l’ultimo libro di Francesco Magris e appena uscito per La nave di Teseo (pagg. 320, euro 20). «In effetti - risponde l’economista - potrebbe sembrarlo, un ossimoro, come anche un paradosso, ma non lo è necessariamente. Oggi si assiste alla rimozione di una serie di tutele sociali ed economiche dei lavoratori in nome della libertà - o meglio delle libertà - come quelle che garantiscono alle imprese una maggiore flessibilità nelle politiche di assunzione e di licenziamento. Il riferimento alla libertà assume dunque un tono quasi ricattatorio: viene privata del suo reale e originale significato per mettersi invece al servizio di politiche economiche di fatto regressive e conservatrici; una libertà dunque totalitaria». 

Articolato, corposo, e insieme ricco di citazioni e rimandi a letteratura e filosofia, che rendono la lettura accattivante, il saggio di Magris offre strumenti per orientarsi in una realtà complessa, in cui l’individualismo, sposandosi con il capitalismo amorale, ha disgregato la società, trasformando la libertà in una sorta di puntello ideologico per poter superare ogni limitazione.


Professore ordinario all’Università François Rabelais di Tours, l’autore si addentra nelle contraddizioni di un sistema dove l’economia regna sovrana, c’è un prezzo per tutto e tutto si classifica in base a indici numerici, eppure la matematica - ed eccolo, il paradosso - è una materia pressoché ignorata. È qui che nascono nuovi populismi, particolarismi ottusi che, attraverso la rivendicazione dei diritti, servono ad alzare steccati. E, dall’altra parte, c’è un impulso crescente a svincolarsi dai doveri, ad allontanarsi dall’etica della coerenza e della responsabilità. Il narcisismo prevale sull’uomo pubblico. 


 
Francesco Magris


 

Professor Magris, alle radici del nostro presente ci sono la rivoluzione francese e l’Illuminismo. Lei è critico sulla situazione attuale: ritiene che quei principi abbiano fallito?
«Quei principi più che fallire hanno subito un pesante condizionamento ideologico. Oggi regna una grossa confusione. In nome dei principi illuministi, non si invoca più la necessità di un Universale comune e condiviso. La sinistra tende a promuovere la proliferazione della diversità e delle singole esperienze identitarie. Ciò è dovuto alla falsa credenza che al centro della politica non debba più collocarsi l’individuo in quanto “animale sociale”, bensì un soggetto isolato, di cui si deve promuovere una sovranità acquisitiva priva di limiti». 


Alcuni imputano lo smarrimento dell’individuo alla perdita della sua componente spirituale. È pensabile un suo recupero? «Questo sembra essere vero in occidente, ma non in altre zone del pianeta dove si assiste semmai a un revival della religione, fino al punto di dar vita a pericolosi fondamentalismi. Nei nostri paesi, invece, domina una progressiva affermazione di frettolosi quanto semplificatori sincretismi, all’interno dei quali si cercano risposte facili a domande che rimangono invece complesse. Il Cristianesimo perde il suo appeal, proprio in virtù della complessità che lo connota. Forse per questo Papa Francesco cerca di riconferirgli slancio con l’accento posto sulla “misericordia”».


Lei afferma che il presente è una “paradossale, illiberale consociazione di un pensiero unico convinto che l’attuale sistema politico-economico sia l’unico possibile e una crescente proliferazione di differenze, ognuna delle quali rivendica la dignità di minoranza”. È una strada senza ritorno? «Credo che l’unica soluzione sia quella di ritrovare degli elementi che accomunano gli uomini, non invece quelli che li separano. L’esaltazione esacerbata delle diverse identità è pericolosa e da combattere perché crea necessariamente segmentazione e segregazione invece che una condivisione di destini». 


La democrazia esiste ancora in una società divisa tra la rete, la televisione e la piazza? «A prima vista sembrerebbe il compimento della democrazia perfetta, nella quale ciascuno ha diritto di intervenire, di partecipare, di dire la sua senza l’intermediazione di organi quali i partiti o i sindacati. Credo invece che la partecipazione alla vita politica guadagni in qualità e democrazia all’interno di specifiche forme organizzate che permettono di aggregare le singole esigenze individuali e di conferire loro maggiore voce».


Diritti civili e diritti sociali, la tutela dei primi si allarga, i secondi non riescono a essere soddisfatti. È giusto dire che è più facile parlare di transgender che di homeless? «Non voglio certamente attribuire una priorità alla tutela dei diritti sociali rispetto a quelli civili. I primi si basano e si nutrono dei secondi e pure il viceversa è vero. Ma mi sembra che la celebrazione mediatica dei diritti civili sia pure usata per soffocare quelle voci che rivendicano l’esigenza di tutela dei diritti sociali, oggi invece sempre più negati e rimossi».


Le forze politiche progressiste si occupano tanto di diritti civili, meno di lavoro. Un calcolo elettoralistico che punta sull'obiettivo più facile da raggiungere? «Le forze progressiste da una parte sono anch’esse vittime inconsapevoli del processo della globalizzazione. L’ideologia neoliberale che rimuove quanti più limiti possibili politici e morali alla manifestazione delle brame acquisitive è subdola poiché influenza le modalità di rivendicazione dei diritti civili. Inoltre, è pure certamente vero che la sinistra, nell’errata convinzione che la classe operaia si sia oramai estinta e che la rimozione dei diritti sia una fatalità storica, ricerca nei vari gruppi identitari nuovi bacini elettorali. I partiti della sinistra, sotto questo punto di vista, si sono trasformati in partiti radicali di massa».
 

Sono i populisti che, promettendo di restaurare lo stato sociale, contro globalizzazione e immigrazione, intercettano il consenso degli operai? «Questo è vero. Basta analizzare la provenienza sociale dei consensi andati a Trump, a Le Pen o in Italia alla Lega. Queste forze politiche si oppongono ferocemente all’austerity, promettono un maggior interventismo statale, fino ad annunciare una pluralità di ricette economiche populiste come ad esempio il protezionismo o la lotta all’immigrazione».

Da economista come vede lo stallo italiano? «L’Italia si sta timidamente riprendendo dalla crisi anche se più lentamente dei suoi partner europei. I conti pubblici migliorano, l’attività industriale è in ripresa, ma l’occupazione, specialmente quella giovanile, stagna. Credo che quello che manca sia una ondata di ottimismo, la sola che può far ripartire l’investimento e le assunzioni. Si sa bene come molte profezie in economia si convertono in realtà, anche se l’attuale stallo politico certamente non giova».

@boria_a

Nessun commento:

Posta un commento