mercoledì 26 settembre 2018

LA MOSTRA

I "Sogni di latta e di cartone", quando 
la pubblicità era un'arte 







Dal Burro di Milano della ditta Ferrari di fine Ottocento, con le merci scaricate da piroscafi a vela o a motore, alla silhouette della penna Pelikan degli anni Sessanta. Dalla coppia liberty di Marcello Dudovich, seduta al caffè davanti al cognac Louis Tailleurs di inizio Novecento, alle donne mediterranee e procaci di Gino Boccasile, che consumano l’Olio Radino nel 1950.

Cinquant’anni di storia italiana scorrono su latta e cartone. Produzione e costume, arte e società in un viaggio a ritroso lungo circa quattrocento esemplari di pubblicità d’antan, che si possono ammirare dal 26 settembre 2018 a Palazzo Attems Petzenstein di Gorizia, nella mostra dell’Erpac curata da Raffaella Sgubin e Piero Delbello.

“Sogni di latta... e di cartone. Tabelle pubblicitarie italiane 1900-1950” racconta, con i pezzi della ricca e inedita collezione privata dell’udinese Stefano Placidi, allestiti in dodici sale e divisi in settori merceologici, l’epoca d’oro del sodalizio tra arte e prodotto. Pubblicità non invasiva e soffocante, ma palestra di grandi artisti che, all’occhio del consumatore di inizio secolo, certo più ingenuo e meno bombardato, suggerivano sogni e bisogni da acquistare, con opere raffinate, di alta valenza artistica.


«Il titolo della mostra - dice Raffaella Sgubin - fa riferimento ai supporti particolari su cui sono realizzate queste pubblicità, ma allude anche agli articoli di consumo spicciolo, ai sogni, in fondo domestici, da poco, che hanno messo in moto la creatività di artisti importanti».



 







 




A Piero Delbello si deve l’organizzazione in aree tematiche. Il percorso inizia dalla cura della persona, dagli shampoo e dalle tinture, per passare poi agli articoli farmaceutici, alla ricca selezione di bevande - birre, vini, spumanti rigorosamente serviti in coppa, amari, liquori ed elisir - fino agli alimentari, con paste e conserve. Ci sono poi i prodotti industriali, le auto, gli pneumatici e gli oli lubrificanti, e quelli in qualche modo legati allo svago, come sigarette, giochi e polvere da sparo. Infine i nastri per le macchine da scrivere e le carte copiative, reperti di un mondo commerciale che da tempo non esiste più.

«Tra le curiosità - segnala Sgubin - le insegne dei semi per la coltivazione dei bachi da seta, un aiuto importante all’introito delle famiglie. O le pubblicità dei vini nel fiasco, che affidavano il messaggio all’idea della campagna e della genuinità. Caliamole nel tempo in cui venivano fruite e pensiamo alla gara di raffinatezza, nella realizzazione delle etichette, con cui le aziende vinicole di oggi si presentano sul mercato».


Gino Boccasile, l’inventore della “Signorina Grandi Firme”, e Marcello Dudovich, con la mamma orgogliosa e il bambino ben pulito dal Sapone Palmolive (1935). Il colorato cameriere della Birra Dreher (1925) del fumettista Giovanni Scolari, e il sorriso della “ragazza dell’Aperol” (1950), che porta la firma di Nano Campeggi. E poi gli uomini in cappello: il Borsalino della grafica di Walter Molino, che ricorda le copertine delle riviste mondane alla Grand-Hotel, e il copricapo Panizza di Plinio Codognato, unico per qualsiasi testa, come suggerisce il moltiplicarsi dei volti. 

















«Questa mostra - conclude Sgubin - cattura l’occhio e si presta a diversi livelli di lettura: i prodotti, o la grafica, o ancora le forme artistiche, che vanno dal liberty, al futurismo, all’avanguardia».
Cambiano i gusti e la sensibilità degli acquirenti, ma i cinquant’anni d’oro della pubblicità non perdono stile. Secondo lo slogan della pasta dentifricia Kalikor, negli anni ’20, “a dir le mie virtù basta un sorriso”.

@boria_a

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