giovedì 28 marzo 2019

LA RIEDIZIONE

Susanna Tamaro e Va' dove ti porta il cuore
25 anni dopo 




Un grande cuore color lacca su un fondo dorato. Sono passati venticinque anni e il best seller di Susanna Tamaro festeggia l’anniversario con un’edizione speciale, appena uscita per Bompiani. «Mi piace - commenta la scrittrice triestina, dalla sua casa di Orvieto - sono nozze d’argento ma l’oro ci sta bene».
Un quarto di secolo fa, in un’era preistorica senza kindle e internet, “Va’ dove ti porta il cuore”, all’epoca edito da Baldini Castoldi Dalai, diventò un caso letterario internazionale e proiettò un’autrice sconosciuta - era il suo terzo libro a vedere le stampe - nel gotha degli autori a tanti zeri.


Da allora, il romanzo che attraversa la vita di tre donne, sotto forma di lettera della nonna alla nipote, alla faccia degli anatemi dei critici ha venduto sedici milioni di copie, oltre dieci all’estero, in 45 paesi, soprattutto in Spagna, America Latina, Turchia e Germania. E continua a vendere: il mese scorso è stato concluso l’accordo per una seconda edizione in lingua basca e araba.



Oltre all’edizione dell’anniversario, Susanna Tamaro avrà una vera e propria festa, a Porretta Terme, dove la protagonista del romanzo, Olga, vive la sua grande storia d’amore al di fuori del matrimonio e concepisce la figlia Ilaria. Nel weekend tra il 10 e 12 maggio 2019 la scrittrice incontrerà i lettori nella cittadina termale e sarà riproposto il film del ’96 diretto da Cristina Comencini, con Virna Lisi e Margherita Buy.


«Se il successo mi ha cambiato? Direi che dopo i primi anni di choc, la mia vita si è assestata - dice Tamaro - ormai è molto stabile. È il mondo intorno a me che è cambiato. Chi si aspettava il crollo degli indici di lettura, gli smartphone, la rete? Tanto che mi chiedevo se oggi questo romanzo sarebbe capito. Ma la risposta continua dei lettori mi dice di sì».

Se lo sarebbe aspettato questo successo? «Io? Nessuno se lo sarebbe aspettato. Cominciai a rendermene conto dopo qualche mese. Il libro era uscito in gennaio, all’inizio dell’estate era chiaro che aveva avuto una partenza fuori dal normale».


A chi lo fece leggere per primo? «A varie persone. Alcune anche si rifiutarono. Ricevetti pareri molto negativi: un libro “fallito”, “non riuscito”. Il mio ex editor mi disse: “dimenticalo, sarà la fine della tua carriera”, “tiralo fuori a ottant’anni”. Erano tutti professionisti del settore. Naturalmente non ho ascoltato, perchè sentivo che era una storia importante. Lo feci leggere anche a qualche amico e a loro invece il libro piacque molto. C’era proprio una frattura tra lettori normali e professionali».


È tutta fiction, o qualche parte, qualche personaggio fanno parte della sua vita? «Come per ogni libro, è l’insieme di queste cose. No, non è la mia storia, la protagonista non è mia nonna e non si tratta della mia famiglia. C’è qualcosa che ho vissuto, che ho conosciuto, ma tutti gli elementi di verità sono filtrati, rielaborati. I lettori tendono sempre a pensare che siano vicende personali. All’epoca, quando mia madre si presentava come “la mamma della Tamaro”, la gente le chiedeva: “Ma lei non era morta?”».


L’anno scorso ha confessato di soffrire della sindrome di Asperger. Come gestì questo successo? «Come la ragazzina Greta, malissimo. All’epoca non sapevo della sindrome, purtroppo. Era la cosa più spaventosa al mondo essere sempre al centro dell’attenzione, incontrare tante persone e spesso non benevole, maligne, che quasi si approfittavano della mia ingenuità. Nel momento del successo alcuni giornalisti divennero iene assatanate. E io ero carne da macello. Nelle interviste dicevo la verità, onestamente, sono una persona limpida e incapace di mentire, mentre a volte chi avevo davanti usava astuzie e aveva retropensieri, che io non concepisco».


Che cosa le ha tolto il successo?
«Per tanto tempo la serenità. Non il successo, ma gli attacchi mi hanno tolto la voglia, anzi la gioia di scrivere. Ogni parola mi pesava, immaginavo gli insulti che avrei ricevuto».
La critica si è scatenata. Che cosa non è stato capito?
«Che è un libro solo apparentemente semplice, che ha invece una struttura complessa, tanti piani di lettura. Parla di Schopenhauer, della psicanalisi, c’è dentro il ’900 intero. Tanti non hanno voluto vederla la complessità, non gliene importava nulla, l’importante era deridere il lettore e la storia. E poi essere donna, da allora l’ho capito, in Italia è un’aggravante, per di più una donna non “moglie di”, senza alcuna protezione sociale, altra aggravante. E vendevo: imperdonabile. Non tollerato, per una sconosciuta che non era un professore universitario, non apparteneva a cerchie...».


Qual è la critica che le ha fatto più male? «Non ne ho idea. Non ne ho letta neanche una, mai. Lessi soltanto la primissima a “La testa tra le nuvole”, scritta da una firma esperta. Non era una stroncatura, tutt’altro, ma non aveva capito niente, neanche di che cosa trattava il libro. Sui giornali si va dal linciaggio alla piaggeria. Il dialogo tra lo scrittore e il critico è invece molto importante, è un arricchimento per entrambi, ma è un dialogo che si svolge ad altri livelli, non con una battuta che stronca o esalta, non parlando di cose mondane, di nessuna importanza».


“Va’ dove ti porta il cuore” è un longseller, dopo un quarto di secolo vende ancora. Non si può dire che è invecchiato, perchè?
«Perchè è un classico. Noi continuiamo a leggere la Divina Commedia, l’Odissea, Tolstoj. Sono classici, toccano un punto profondo dell’animo umano. Non sono legati a un tempo, a una stagione, appartengono alla memoria delle generazioni e passano di generazione in generazione».


Ha venduto tanto nei paesi di lingua spagnola. Come se lo spiega?
«Ha venduto in tutti i paesi dove la struttura della famiglia è forte, in Spagna, in Sudamerica, in Giappone, Corea, Cina, Filippine, nel bacino del Mediterraneo: Nord Africa, Israele, Grecia».


Negli Stati Uniti? «L’ha letto un’élite, a Hollywood l’hanno letto tutti. Ma non ha avuto lo stesso impatto, la famiglia non è radicata».


Nel libro c’è tanta Trieste. Non ha voglia di tornare a viverci?
«Ci passo dei periodi, quando i miei nipoti erano più piccoli anche un paio di mesi all’anno. Ho mantenuto la casa dove sono nata, se non vengo mi manca. Non ho un rapporto di odio-amore, come altri scrittori. La città mi piace moltissimo, Trieste è un relax, una vacanza che mi concedo».


Che futuro vede? «Trieste è molto cambiata, molto migliorata, piena di gente, oggi attira moltissimi turisti. Negli anni ’70, quando ero giovane, era sporca, brutta, abbandonata, in uno stato di disagio. Chi andava in Croazia diceva “sono passato per Trieste”, oggi ho molti amici che si fermano, che ci vogliono tornare. Trieste ha fatto passi avanti pazzeschi negli ultimi anni. Ora se parte l’accordo con i cinesi, non mancheranno gli esiti positivi, per l’economia, per il commercio. Personalmente sono fiduciosa, una città così bella non può spegnersi».


Ha un dialogo con le nuove lettrici del romanzo? «Certo, mi scrivono sulla pagina Facebook o privatamente. Oggi si parla in modo singhiozzante, nel libro trovano un altro respiro, un’altra dimensione comunicativa».


Se lo riscrivesse ora, cambierebbe qualcosa? «Niente. È calibrato in ogni sua parte. Anche quando l’ho consegnato, non è stata fatta alcuna modifica. Sono una perfezionista, il lavoro lo faccio io fino all’ultimo millimetro. E sono molto autocritica».


“Va’ dove ti porta il cuore” è il suo libro più bello? «Non lo so. Ha avuto molto successo perchè era il meno doloroso, gli altri non sono pacificanti. Il più importante dal punto di vista letterario credo sia “Anima mundi”, ma “Va’ dove ti porta il cuore” mi ha permesso di vivere continuando a scrivere e mi ha dato la possibilità di raggiungere moltissime persone. Non è un libro di consumo, viene letto e riletto, ha formato persone, rimane nella memoria di chi lo ha amato. Continua a vivere, questa è la cosa incredibile».


Ma il titolo non l’ha inventato lei...«No, è in un libro giapponese, un codice dei samurai. “Quando ci sono tante strade davanti a te, segui il cuore”, qualcosa del genere. Certo è per il libro che è entrato nel linguaggio comune, è diventata anche una pubblicità. Quando lo sento dire in giro ormai non mi sorprende più, ci sono abituata». 

@boria_a

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