sabato 22 agosto 2020

IL LIBRO

Manuel Vilas in viaggio con Arnold
scopre la gioia, all'improvviso





Viaggia con Arnold lo scrittore Manuel Vilas nel tour di presentazione del suo primo libro, il pluripremiato “Ordesa”, caso editoriale in Spagna nel 2018, poi tradotto in tutto il mondo e uscito in Italia nel 2019 per Guanda con il titolo “In tutto c’è stata bellezza“, nell’intensa traduzione di Bruno Arpaia.

Arnold è il musicista Arnold Schönberg, l’inventore della musica dodecafonica morto nel 1951, un personaggio reale che Vilas sceglie come personificazione del suo disagio psichico, il compagno immaginario che dà un nome alto, nobile, alla sua depressione. Arnold è il morso di quel “lupo sconosciuto sul benessere dei tuoi pensieri, della tua anima, della tua coscienza, del tuo equilibrio” che provò per la prima volta da matricola universitaria in uno studentato a Saragozza, dopo lo strappo dal suo paese, Barbastro, e dagli amatissimi genitori, rinominati Wagner e Bach. Nella mappa affettiva dello scrittore ogni presenza ha un doppio musicale: i figli sono Bra e Valdi, Brahms e Vivaldi, lo zio è Rachma-Rachmaninov, la seconda moglie americana Mo, Mozart. Arnold, l’inventore del “rumore contemporaneo”, è la presenza costante che gli sta acquattata dentro e ogni tanto scatena la fissazione, il disturbo. 


Manuel Vilas


“La gioia, all’improvviso”, il secondo libro di Vilas, ancora una volta uscito in Italia con Guanda e la traduzione di Arpaia, finalista al premio Planeta, il più prestigioso riconoscimento letterario spagnolo, è il taccuino del suo itinerario in Francia, Svizzera, Italia, Portogallo, dei viaggi negli Stati Uniti. Arnold lo accompagna anche nella breve luna di miele con Mo, è lì, in ogni camera d’albergo inadeguata, in ogni rumore fastidioso, in un errore del gps che un giorno, per caso, mentre cerca il cimitero dov’è sepolto il musicista Johnny Cash lo imbottiglia nei centri commerciali della periferia americana. Arnold pronto a trasformare in tragedia le “idiozie del caso”, a ricordargli “il terrore di essere vivo”, il vuoto e il nulla, l’esistenza del fallimento.
La sua presenza impasta ogni pagina di questo taccuino dolente e luminoso insieme, che è consigliabile leggere dopo “In tutto c’è stata bellezza”, di cui è non solo continuazione, ma completamento, pacificazione, risoluzione. 





Nel primo libro la famiglia d’origine, il distacco e il ritorno, il matrimonio e la tenerezza dei figli, il fallimento e l’alcolismo, la ricerca disperata della bellezza che è in ogni atto del vivere, per quanto imperfetto e transitorio, e che spesso ci restituisce solo la memoria, il conforto del dialogo con i nostri morti, che ci ostiniamo a tenere in vita come ponte tra noi e il futuro.
Ora Vilas è una celebrità, osannato, premiato, richiesto, conosciuto nel mondo e non solo nella ristretta cerchia dei poeti. Eppure non cessa di sentirsi orfano, della famiglia di cui è stato figlio, e di quella in cui è stato padre o forse non è riuscito a esserlo. Non smette di vedersi disarmato, e immeritevole, di fronte al successo. Ricorda la dipendenza dell’alcol, l’inferno che si presentava “con gli ornamenti del paradiso”, la distruzione dove pure c’era euforia, “perché ora che ci penso meglio - scrive - in ogni momento della mia vita c’è stata qualche forma di gioia”.


La gioia all’improvviso, appunto. La meraviglia di una scoperta, di un volto che ritorna dal passato alla presentazione del libro, un dialogo insperato con i figli lontani, un piccolo episodio che ci restituisce i contorni del nostro posto nel mondo. Come comprare un paio di scarpe, che fanno pensare ai luoghi che si calpesterà con loro, al domani. O un breve viaggio con Valdi a Chicago, l’avidità di stare con lui, perché la condizione di padre è sempre quella di mendicante d’amore. O scoprire in Bra l’eredità genetica del proprio genitore, il mistero e il conforto dei legami che resistono e si trasmettono. E la saggezza di Mo, la sua presenza equilibratrice e il matrimonio che “è venuto al mondo per salvarci dalla follia di essere uno soltanto e trasformarsi nell’illuminazione di essere due”.
Sono trafitture di luce nei capitoli brevi di questo diario, dove la lingua diventa spesso quella della poesia per restituire al lettore lo stupore e l’incantamento del sentirsi vivo, l’innocenza dello sguardo di un uomo che si riconosce bambino nella fame di amare e di sentirsi amato.


La vita è l’impossibilità di conoscere la vita, ci dice Vilas. Ma attraverso questi squarci, la vita dilaga, all’improvviso, e il viaggio diventa più lieve, qualsiasi sia il nostro compagno.

@boria_a

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