lunedì 19 aprile 2021

MODA & MODI

Vestito contro corsetto, liberazione

e costrizione del dopo lockdown 


Kim Kardashian in Schiaparelli couture (ph. Daniel Roseberry)


 

Le vetrine si ripopolano di vestiti ariosi, ma sulle passerelle sono ricomparsi corsetti e busti come accessorio di tendenza. Il parziale ritorno alla vita sociale è segnato da una forte contraddizione o forse da due modi opposti di interpretarlo e vestirlo. Libertà o corazza? Voglia di movimento o bisogno di protezione? Semplificando: apertura o chiusura? Il vestito del dopo lockdown è dappertutto e con caratteristiche precise. La lunghezza, che arriva almeno a metà polpaccio. La linea, che enfatizza ampiezze e volumi, spesso con l’aggiunta delle maniche a palloncino. L’accento è sulla comodità, anche dove le gonne scivolate lasciano il posto alle balze. Una cintura può segnare il punto vita, ma togliendola il vestito non perde la sua linea. I tessuti sono leggeri, i colori chiari, tante le fantasie floreali, i quadretti o le righe, con gli accostamenti cromatici rilassanti preferiti al color blocking che mette fibrillazione.


La ricerca di “vestiti ampi” e “voluminosi” vola in rete. Secondo la piattaforma globale Lyst è aumentata dell’87 per cento, i vestiti con maniche a sbuffo hanno raggiunto una crescita di interesse del 130 per cento, gli abiti midi del 158. Se i numeri danno la misura del fenomeno, le parole digitate trasmettono stati d’animo e bisogni del “destinatario” (perché anche “consumatore” è una definizione che piace sempre meno, per le implicazioni poco etiche che comporta): si predilige un involucro che metta d’accordo confortevolezza e stile. Dopo la lunga parentesi in tuta o abbigliamento domestico, la comodità è diventata una caratteristica irrinunciabile. L’abito rappresenta dunque il compromesso perfetto, la transizione dalla chiusura all’apertura, con un filo di indulgenza verso i cedimenti fisici o i chili recuperati durante l’isolamento.


Che cosa c’entrano allora corsetti e bustini, avvistati sulle passerelle e già nei negozi, da portare su camicie e t-shirt per sigillarci da seno a punto vita? Dopo il fascino delle signorine Bridgerton, con i loro burrosi décolleté rialzati, il capo più costrittivo che esista dilaga nella rete e sui social come Tik Tok. La reazione alla pandemia per alcuni stilisti è andata nella direzione opposta. Piuttosto che regalare fluidità e movimento, hanno preferito equipaggiare le donne con una sorta di armatura, sottolineare il senso di protezione più che la liberazione. Così ha spiegato Daniel Roseberry, direttore creativo di Schiaparelli, autore di molta corsetteria nella sua collezione haute couture. La Kardashian di turno, Kim per i registri, ha promosso l’idea strizzata in un corpetto anatomico, che, come il suo fondoschiena, trasmette un messaggio antitetico a quello di naturalezza e benessere.


Dallo schermo alla strada, si sa, il passo è lunghissimo. Ancora più lungo quello dalle passerelle ai capi che la gente si metterà addosso davvero. E i busti, per quanto oggi modellanti e in materiali tecnologici, portano con sè un’atavica natura di costrizione, di immobilità, di dipendenza. Sembrano termini usciti dal vocabolario della pandemia. Non ce ne dovevamo liberare?

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