lunedì 13 settembre 2021

MODA & MODI

 

 September Issue, che grande libertà

 

 

The September Issue

Che cosa ci dicono le “september issues”? Per tradizione i numeri di settembre delle riviste di moda, Vogue in testa, “dettano” le tendenze della stagione fredda che sta per iniziare. Meglio, “indicano”. Se il lockdown ci ha lasciato un’eredità positiva è un certo fastidio per le imposizioni, certo in tema di abbigliamento. Smart working e confinamento hanno cancellato le divise da ufficio e abituato tutti a coniugare comfort e presentabilità (non solo nel mezzobusto dello schermo).

Il famoso film The September Issue del 2009, in cui Anna Wintour, allora alla guida di Vogue America, spiegava la defatigante nascita dell’edizione che sarebbe stata per tutti la Bibbia su come vestirsi nei mesi a venire, oggi ci sembra il manifesto di un mondo al quale il virus ha cambiato i connotati. Sparite le collezioni nuove ogni tre mesi (sono i designer i primi a dire: perché devo sconfessarmi in così poco tempo?), sparite le passerelle esclusive, diventate film e video che tutti possono vedere da una virtuale prima fila, ridimensionato il verbo dello stilista a favore delle tendenze che i giovanissimi viralizzano su TikTok, la “september issue” è prima di tutto una questione di personalità. Le riviste sintetizzano suggerimenti, ma sono molto più caute nel gridare alla tendenza a tutti i costi.


Forse la vera novità è questa. Il nuovo, nella moda, non è più un valore assoluto. Anzi. Quantomeno va coniugato con il vecchio. La ripartenza è anche (e non solo), upcycling, riciclare. Non per fare quello che l’incombente Greta Thunberg chiama il “green washing”, ossia lavarci la coscienza con l’ambientalismo di facciata, ma perché mischiare ci stimola, molto di più che comprare online un capo da quattro soldi purchè sia di stagione. Miu Miu ha acquistato vestiti nei migliori negozi vintage del mondo e li ha personalizzati. Chic-upcycling. È una chiave per tutti.


Prendiamo il foulard, uno degli accessori di punta dell’autunno inverno 2021, da portare legato sotto il mento, come bandana, come cintura, al manico della borsa. Difficile non trovarne uno in casa, anonimo o logato, reperto bon ton di mamme e nonne. (Ri)metterlo in circolo pretende fantasia. Lo stesso vale per i maglioni king size, lasciati indietro prima che il lockdown ci facesse riscoprire l’importanza della morbidezza: con una gonna o un paio di pantaloni di tweed, tessuto in gran (ri)spolvero, ritornano contemporanei. Si potrebbe continuare: il kilt da (ri)scoprire, perché lo stile preppy degli studenti americani anni Sessanta resiste; o l’abito intero, i due pezzi, i pantaloni tutti in lana, capi di transizione del post-lockdown, facili da (re)cuperare e (ri)adattare. Crescono e si moltiplicano le pelliccette ecologiche: chi l’ha comprata nel primo sussulto di sostenibilità, può sbizzarrirsi con gli accessori per minimizzare un taglio datato. (Ri)compare il temuto animalier, che ognuna, almeno una volta nella vita, ha sulla coscienza: abbinandoci un colore acido non fa più divano da discoteca anni Ottanta.


Finita l’era dei guru (gli influencer sì sono deperibili), la “september issue” 2021 ci regala una grande libertà. Anche dalla selva dei “re” e dei “ri”. Il riciclo è divertimento, non un altro (ipocrita) diktat, seppure in nome di nobili cause.

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