sabato 11 giugno 2022

IL FOTOGRAFO

 

Frank Horvat: "Per favore, non sorridete"

E la vita s'insinua nell'inquadratura glamour

 

Frank Horvat


 
Una fotografia di moda su cui è impossibile non aver fermato lo sguardo, almeno una volta. È stata scattata nel 1958, a Parigi, per la rivista Jardin des Modes: della modella si vedono solo gli occhi scuri tra il cappello bianco di Givenchy, una sorta di pillbox hat, il copricapo portapillole, con una vistosa applicazione di fiori, e l’alto collo bianco del cappotto, che le avvolge il viso come in una spirale. Intorno a lei uomini in cilindro e tight puntano il binocolo verso le corse dei cavalli. Non la guardano e lei non guarda loro. Ignora gli uomini e le gara, i suoi occhi entrano diretti nell’obiettivo, sorpresi da qualcos’altro che non possiamo intuire.

 

 

Parigi, 1958, Les Jardin des Modes, cappello di Givenchy (tutte le immagini sono tratte da Horvatland)

 

Ma è davvero una fotografia di moda? Chi l’ha scattata, Frank Horvat, forse non l’avrebbe ritenuta tale. O non soltanto. Nel 1951, quando con la sua Leica comincia a firmare servizi per le riviste couture, lo fa con il taglio, la sensibilità, l’approccio di un fotoreporter. Con lui la moda scende in strada, si mescola alla gente, racconta non solo abiti ma luoghi e persone, esce dalla fissità e dai canoni dell’immagine da studio. E anche quand’è in posa, c’è sempre un elemento che introduce un altro sguardo: in un’immagine del ’58, a Parigi, per Elle, il suo figlioletto Michel, in piedi su una poltrona damascata, accarezza con una lunga piuma il viso della modella, che pare dissolversi.


Le prime foto di moda di Frank Horvat hanno già in sè questo percorso. 1951, Roma: l’indossatrice in un abito dalla gonna a ruota e il cappello a pagoda, di profilo sotto il sole, gioca con la sua ombra proiettata contro un muro, la mano guantata di bianco. 1951, Parigi: un’altra modella ripresa di schiena, sul marciapiede, appoggiata all’ombrello, guarda il traffico che scorre, e l’occhio di chi osserva cade sul gioco delle scarpe nere che s’incrociano, sul disegno della calza con la riga.


Anche quando immortala le celebrità, Horvat fotografa l’uomo e la donna dietro la maschera, ne coglie la piega più fragile o più spiazzante, entra nella loro vita per restituirne un momento. La fotografia, diceva, è l’arte di trattenere l’attimo prima che la scena si imprima sulla pellicola. Ecco allora Aznavour a Parigi quasi perso tra la folla, Josephine Baker appoggiata a una scala dopo lo spettacolo, lo stilista Jacques Fath che si trucca, Yves Saint Laurent giovanissimo, col sorriso disperato a un ricevimento, Coco Chanel che assiste alla sua sfilata dalla scala, in una trama di linee in bianco e nero, un filo dei suoi stessi tessuti.

 


 


 


 


“Please, don’t smile”, dicevano i fotografi prima dello scatto per scongiurare la serialità espressiva. Le modelle di Horvat, sulle pagine di riviste patinate come Harper’s Bazaar Usa, Vogue Uk, Vogue France, Elle, dai mercati di Les Halles alle strade di New York, dalle trattorie di Roma alle spiagge della Normandia, il sorriso lo accennano appena, a volte lo dimenticano del tutto. Fissano enigmatiche l’interlocutore dai vetri della metropolitana, spuntano tra gruppi di vigili del fuoco, calciatori, bambini di una classe elementare, fumano al tavolino di un caffè perse nei loro sogni, si vestono per un ricevimento dietro la finestra di un appartamento elegante, camminano in abito da sposa “sospese” sopra Montmartre.

 

Coco Chanel guarda dalle scale la sua sfilata

 

Chi si muove intorno a loro, che cosa Horvat ha sottratto all’inquadratura? Vestiti, scarpe, cappelli, gioielli sono un pretesto. La statuaria top-model China Machado è ritratta in piedi, dietro allo scrittore Alberto Moravia, seduto nella sua biblioteca con un persiano bianco in braccio. Lei indossa un tailleur couture dai bottoni gioiello, ma gli occhi di entrambi sono catturati da qualcosa che accade altrove. Chissà cosa vedono - ci chiediamo - chissà perchè il gatto sembra l’unico a non curarsene, i suoi, di occhi, ridotti a fessura. 

Roma, Alberto Moravia e China Machado


 

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