sabato 18 marzo 2023

LA MOSTRA

 Moda e design anni Cinquanta

a Palazzo Attems Petzenstein a Gorizia

 

L’orologio Cifra 5 della Solari, disegnato da Gino Valle nel 1956. La macchina da cucire Necchi Mirella, firmata da Marcello Nizzoli nel 1957, proprio come la mitica macchina da scrivere Lettera 22 del 1950. Il televisione orientabile Phonola 17/18, apparecchio dalla concezione innovativa, una sorta di domestico E.T., che nel 1956 esce dalle matite di Sergio Berizzi, Cesare Buttè e Dario Montagni.

 

l’orologio da tavolo/muro Cifra 5 di Gino Valle, 1956, Solari Udine (Noleggiocose di Andrea Moscardi)


 

Istantanee dagli interni delle case degli italiani negli anni Cinquanta. Oggetti che al primo sguardo cristallizzano un’epoca. Gli elettrodomestici sono il biglietto da visita di un maggiore benessere economico, mentre le riviste per signora illustrano la prima moda orgogliosamente autoctona, che comincia a proporre linee e soluzioni originali, sempre più indipendenti dai canoni francesi.


Sono un decennio formidabile gli anni Cinquanta, per gli oggetti e per i vestiti. La genialità, il coraggio di architetti e disegnatori, si coniuga all’interesse di imprenditori illuminati e all’innovazione tecnologica: nasce il design industriale, con pezzi moderni, funzionali, dalle linee pulite, destinati a ridefinire gli spazi delle abitazioni. La Lady Armchair disegnata nel ’51 da Marco Zanuso per Arflex è la sintesi perfetta tra design, nuovi materiali e tecnologia: è la prima poltrona in gommapiuma e poliuretano espanso della storia e nasce dalle ricerche condotte all’interno della Pirelli.


Anche nella moda siamo agli albori di una rivoluzione. I grandi sarti di quella stagione incontrano sulla loro strada il marchese Giovan Battista Giorgini, imprenditore lungimirante e molto addentro al mercato americano, che riesce a valorizzare le individualità e a portarle in passerella, tutte insieme, per raccontare lo stile italiano, mix di novità e radici, che conquista i compratori d’oltreoceano. Il dominio francese è messo in crisi, dal colpo non si riprenderà più.

 

Roberto Capucci negli anni '50 (Archivio Fondazione Capucci)

 

 Non tutto è immediatamente compreso, sia negli arredi che nella moda, alcune invenzioni dovranno aspettare tempi migliori. Prendiamo il Mezzadro, pensato da Pier Giacomo e Achille Castiglioni nel 1957, uno sgabello dadaista con la “seduta” identica a quella di un trattore, che potrà entrare in produzione con Zanotta solo nel ’71. O la linea a “scatola” inventata nel 1958 da Roberto Capucci, in pieno furore di vitini da vespa e gonne a corolla, che rimbalzerà in Italia solo dopo un grande successo negli Stati Uniti. A Boston, infatti, nel settembre 1958, per la sua donna inscatolata Capucci vince l’Oscar della moda.


“Italia Cinquanta moda e design. Nascita di uno stile”, la mostra che si apre martedì 21 marzo 2023, alle 17.30, a Palazzo Attems Petzenstein di Gorizia, vuole essere un’ampia e ricca antologia di questo decennio straordinario, quando l’Italia, uscita dalla guerra, aggrediva il futuro con inventiva e ottimismo e cominciava e esportare nel mondo la sua idea di bellezza, di grazia, di eleganza sia negli oggetti che nel guardaroba. L’esposizione, che sarà visitabile fino al 27 agosto 2023, è promossa dal Museo della Moda e delle Arti Applicate di Gorizia, articolazione dell’Erpac (l’ente per il patrimonio culturale della regione) ed è curata da Carla Cerutti, per quanto riguarda la sezione design e arti applicate, con la consulenza scientifica dell’Associazione degli Archivi delle Arti Applicate Italiane del XX secolo, e da Raffaella Sgubin ed Enrico Minio Capucci per la sezione moda, con la collaborazione dell’Archivio Giorgini. I capi in mostra sono prestiti della Collezione Tinarelli, della Fondazione Capucci e degli archivi delle varie maison, Museo Ferragamo, Associazione Germana Marucelli, Fondazione Micol Fontana, Fondazione Archivio Emilio Pucci.

 

Anguria di Gio Ponti, 1956, esecuzione Paolo De Poli-Padova, Brescia, collezione privata (Fotostudio Rapuzzi Brescia)

 

«Grazie al design e alla moda - spiega Cerutti, già curatrice con Sgubin, nel 2009, della Mostra sul Futurismo - l’Italia ha trovato negli anni Cinquanta due veicoli importanti di rinnovamento. E dunque il mio approccio nella scelta è stato quello di individuare pezzi “esemplificativi” di questa rinascita del dopoguerra».
Centocinquanta gli oggetti in mostra, in un percorso che tocca il design industriale, le produzioni di vetro muranese d’autore, il cambiamento dei costumi alimentari, sia in casa, con l’introduzione della cucina all’americana, sia fuori, con i nuovi arredi destinati ai bar (ci sarà la celebre “Lollobrigida”, macchina da caffè de La San Marco di Gradisca d’Isonzo). E ancora: lo spazio dedicato al Compasso d’oro, istituito nel ’54 dalla Rinascente per premiare l’eccellenza nel design, quello caratterizzato dagli oggetti inconfondibili firmati da Fornasetti e Gio Ponti, infine la chiusura con la sala per gli arredi d’artista, ceramiche e stoffe. Tra le chicche, un pezzo unico, proveniente da una collezione privata: il tavolino quadrato dipinto su malta da Mirko Basaldella e montato su una struttura in legno costruita appositamente da un architetto amico del committente.

Fabiani, abito da cocktail, 1953-56, Collezione Enrico Quinto e Paolo Tinarelli, foto Fabio De Benedettis
 

Saliamo le scale del palazzo e seguiamo il sogno di “Bista” Giorgini, l’inventore del made in Italy nella moda, che accoglie i visitatori da una gigantografia insieme alle sue indossatrici. La prima sfilata, per pochi buyers e giornalisti e tra molte diffidenze, il marchese la organizzò il 12 febbraio 1951 nella sua residenza fiorentina, Villa Torrigiani. Al ricevimento finale chiese agli ospiti di vestire “italiano”. I sarti più in voga e tre case di moda-boutique (che lavoravano cioè su taglia non su misura, con confezioni realizzate comunque a mano e tessuti di pregio, antenate del prêt-à-porter) accettarono la sfida. Pochi mesi dopo la passerella si sposterà al Grand Hotel, poi alla Sala Bianca di Palazzo Pitti, con una partecipazione e un entusiasmo crescenti da parte dei rappresentanti dei grandi magazzini d’oltreoceano. Per dirla con Micol Fontana, i sarti avevano finito di tenere il piede in due scarpe, divisi tra l’imitazione dei francesi e una ancora timida creatività personale. Era nata la moda italiana.

Simonetta, abito da cocktail, A/I 1957-58, Collezione Tinarelli, Foto Fabio De Benedettis

 

 «Le ragioni del successo? Giorgini - racconta Enrico Minio Capucci - aveva ottimi rapporti con gli Stati Uniti e ne conosceva il mercato. Ebbe poi l’intuizione di guardare alla nostra tradizione culturale, artistica e storica, e all’artigianato di altissima qualità. Infine, offriva ai compratori, in un unico luogo, la possibilità di vedere il meglio della nostra produzione, e organizzava per loro balli, ricevimenti. Li stregava».


Aggiunge Sgubin: «Trovo modernissimo il modo in cui Giorgini usava lo storytelling. Per i servizi fotografici sceglieva il Rinascimento, la Roma antica. Tutto concorreva a creare quella dichiarazione d’identità alla base del made in Italy. Agli americani offriva una suggestione e veicolava un messaggio di prestigio: comprando italiano, compravano un pezzo della nostra cultura e identità».


 

Roberto Capucci, abito da cocktail, A/I 1957-58, Collezione Tinarelli, Foto Fabio De Benedittis


Quaranta circa gli abiti e gli accessori in mostra firmati da Pucci, Schuberth, Capucci, Simonetta, Fabiani, Sorelle Fontana, Jole Veneziani, Gattinoni, Biki, Curiel, Marucelli, Gucci, Ferragamo, Roberta di Camerino, grandi protagonisti di quella stagione. E poi le immagini delle dive del cinema, fenomenali testimonial del gusto italiano: Marilyn Monroe e le sue scarpe Ferragamo in “A qualcuno piace caldo”, Esther Williams con il celebre abito “Nove gonne” di Capucci, Ava Gardner col “Pretino” delle Sorelle Fontana, e ancora Audrey Hepburn, Gina Lollobrigida, Sophia Loren, Elsa Martinelli. E un’altra chicca: l’abito da sposa con giacchino del celebre soprano triestino Alda Noni, anno 1947. Infine, dall’Archivio Giorgini, arriverà una testimonianza preziosa di quegli anni pionieristici per la moda: un abito, inedito per il pubblico, firmato da Roberto Capucci e appartenuto alla figlia del marchese, Matilde.

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