lunedì 2 ottobre 2023

MODA & MODI

Ferragni, sotto il cognome solo il manichino

 

 



 

Al termine della scala mobile del grande magazzino ci accoglie un assaggio della collezione invernale dell’influencer imprenditrice. Capi basici, jeans e camicia maschile, un’uniforme indistinta che può abbracciare e gratificare estimatrici dalle elementari in su. Quello che colpisce è il maglioncino. Un pull girocollo, appena appoggiato alla vita, con una enorme scritta blu che attraversa il seno: FERRAGNI.

Non basta l’occhio sgranato, il bulbo oculare bordato dalle ciglia verticali che caratterizza e rende subito riconoscibili tutte le linee dell’ex “blonde salad”. Non basta la stella, altro codice di un linguaggio elementare comprensibile a tutti. Serve un segnale di appartenenza ancora più marcato: il nome. Lettere grandi, che catturano lo sguardo e lo trattengono. Una dichiarazione di intenti in aggiunta al logo dell’occhione sgranato. Come dire: questo è un capo “firmato” da me, chi lo porta trasmette il messaggio di una scelta subito comprensibile, si impone anche su chi si disinteressa dei marchi. FERRAGNI altezza seno anche sulle felpe, altro pezzo passepartout di ogni guardaroba. Il nome e nessuno sforzo di creatività, perché basta il primo a soddisfare l’acquirente.


L’obiezione è scontata: quella di Chiara Ferragni non è moda, ma un’operazione di “branding” che si estende dal set di nastro adesivo griffato, ai piumini della linea definita appunto “logomania”. Ogni capo e accessorio deve essere facile e accessibile a tutti almeno nei desideri (i prezzi sono tutt’altra storia), non servono tagli, cromatismi, stampe o abbinamenti che spiazzino la cliente e la allontanino, quello che legge la conforta sulla bontà dell’acquisto. È FERRAGNI, fidati.


Siamo agli antipodi del quiet luxury, il lusso sussurrato, sotto traccia, fatto di sartorialità e materiali ricercati, che rifugge qualsiasi logo, qualsiasi riconoscibilità a vista e invita l’osservatore a scoprire chi firmi che cosa senza sbatterglielo in faccia. La tendenza di questo inverno “suggerisce”: capi duraturi, nessun “effettaccio” stancante per dirla con Armani, una palette di colori caldi e confortanti, eleganza come discrezione, ogni capo reale e portabile.

Anche Gucci, dopo il guardaroba fluido e globale di Alessandro Michele, con il nuovo direttore creativo Sabato De Sarno, che ha appena debuttato a Milano, è tornato al dna del brand: lusso rarefatto e senza tempo. Cosa ci dice allora il manichino Ferragni, dove tutto grida e non sussurra? Intanto che cosa ci mostra: come a carissimo prezzo si arruolano testimonial a buon mercato, ragazze sandwich che fanno da moltiplicatore. Che l’accento è tutto sul nome e sulla sua “influenza”, l’oggetto non ha contenuto, sia esso un temperamatite o un maglione.

Il logo funziona sempre allo stesso modo, è un succedaneo di sicurezza, ma nell’era dei social regala in più un posto (e un post) nell’album instagrammabile dell’influencer, la front row della sua vita. Lei stessa si autopromuove a Ferragosto da Ibiza in body trasparente verdemela col seno schermato da FERRAGNI, tra un diluvio di cuoricini adoranti ma anche una consistente dose di commenti critici.

Per fare moda, non pubblicità alla moda di altri, ci vuole una visione (Victoria Beckham ha saputo dimostrarlo). Il cognome non la riempie.

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