lunedì 5 febbraio 2024

MODA & MODI

Galliano, povere creature senza passerella 




 Sogno o incubo? Redenzione o espiazione? Sublime performance o rappresentazione del lato oscuro della mente umana? Desiderio o ripulsa? A più di una settimana di distanza fa discutere ancora, sulla carta e online, la sfilata di Martin Margiela Artisanal firmata da John Galliano, che ha chiuso la settimana dell’alta moda di Parigi. Su YouTube è facile trovarla e anche attraverso il perimetro ristretto di un display la forza dello spettacolo orchestrato dal geniale e maledetto designer, che da dieci anni si occupa del brand del gruppo OTB di Renzo Rosso, arriva agli occhi di chi guarda. Non è alta moda, verrebbe da dire, anche se lo è in ogni punto e centimetro di quei tessuti e pizzi riciclati, pressati, acquerellati, riassemblati in nove mesi di lavoro, fino a farne qualcosa di assolutamente nuovo, che simula altri materiali, cartoni bagnati, coperte fradicie, lo è in ogni sfumatura di colore delle calze degradé, nei vestiti dalla nudità trompe l’oeil, nelle crinoline trasparenti, nei completi gessati maschili dai tagli perfetti.

 


 


Sotto il ponte Alessandro III, in un vecchio magazzino trasformato in bistrot, tra tavoli, sedie e poltrone malconce su cui si accomodano gli invitati, davanti a un tavolo da biliardo, caracolla l’umanità di Galliano, una sfilata di “povere creature” aperta dal modello Leon Dame in un busto da cui esce il suo tronco asciugato, con la camminata disossata “alla Margiela”.

Sono prostitute, ubriachi, giocatori d’azzardo, ballerine del Moulin Rouge, l’umanità dei Misteri di Parigi di Eugène Sue, che cammina in precario equilibrio, i volti porcellanati dal trucco, le forme del corpo trasformate da protesi in silicone, i gesti teatrali così lontani dalla scansione meccanica delle sfilate. Le uscite sono state precedute da un breve film noir di Baz Luhrmann, che racconta una rapina e un inseguimento, e dalla voce del performer Lucky Love, sosia di Freddie Mercury, che canta a petto nudo e mostra il braccio monco.
Dopo la cacciata da Dior del 2011, in seguito agli epiteti razzisti pronunciati in un bar sotto l’effetto di alcol e droga, dopo la condanna, una faticosa riabilitazione, lunghi anni di ostracismo del mondo della moda e infine la fiducia di Renzo Rosso, John Galliano è tornato col suo mondo visionario, come negli anni Novanta.

In una fase in cui i colossi del lusso pretendono dai creativi un’alta moda “quiet”, un lusso disciplinato e sottotraccia, collezioni indossabili che tengano d’occhio il fatturato, il suo storytelling ha oscurato ogni altra passerella: non solo eccessivo, decadente, immaginifico, ma con tecniche raffinatissime di lavorazione e taglio. Un’operazione controcorrente, che ha diviso, emozionato, disturbato, esaltato.


Galliano ha rotto la schiavitù dei numeri e ci ha restituito l’alta moda del passato: non una narrazione solare, un’edulcorazione del presente, non un sogno, ma una visione potente, con tutte le sue sfumature emotive, anche le più oscure e inconfessabili. E in quegli uomini barcollanti, in quelle muse in disarmo, in quei corpi strizzati e tormentati, più che Margiela ha raccontato se stesso, e un ritorno alla vita che mai può essere lineare e definitivo.

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