mercoledì 26 giugno 2024

 LA MOSTRA

Italia Sessanta. Arte, Moda e Design

Dal Boom al Pop a Gorizia 

 

Divano Bocca® di Studio 65, 1970 ©Courtesy Gufram
 

Design, moda, arte per raccontare i formidabili Sessanta. Un decennio di crescita economica e di trasformazioni sociali, di conquiste e rivendicazioni, attraversato da una spinta creativa che disegna nuovi spazi e forme, esterni e interni, crea oggetti colorati e poetici, dove funzionalità e invenzione si compensano, ripensa abiti, accessori, gioielli, che sperimentano materiali, diventano prove d’artista, in un nuovo rapporto con il corpo e le sue decorazioni.

Il mangiadischi arancione ideato da Mario Bellini nel ’68, portatile come una borsetta, suona ovunque la colonna sonora delle nuove generazioni, a cavallo del Ciao o della bici Graziella. Nelle case, dal ’67, entra il Grillo di Marco Zanuso e Richard Sapper, il più piccolo telefono mai progettato, antenato dei primi cellulari a ostrica. Al cinema si ride con Fracchia la belva umana, che rovina a terra dalla poltrona Sacco di Zanotta, pensata nel ’68 da Gatti, Paolini e Teodoro. Tutti pezzi premiati col Compasso D’oro, interpreti di un’epoca che guarda al futuro con speranza, fino a spingersi a immaginare l’uomo sulla Luna, nel futuribile “Allunaggio”, sedile per esterni dei fratelli Castiglioni, anno 1965, che precede di quattro la passeggiata degli astronauti Armstrong e Aldrin. Pezzi ancora in produzione, come la radio cubo, la Ts 502 di Zanuso, ricercatissima in rete anche nella versione vintage.

 

Giradischi portatile GA45 POP, 1968 (Minerva) di Mario Bellini ©Triennale Milano(f. Amendolagine Barracchia)

 


Apre per il pubblico sabato 29 giugno alle 10 (l’inaugurazione domani alle 18 con le autorità, a invito), a palazzo Attems Petzenstein di Gorizia, la mostra “Italia Sessanta. Arte Moda e Design. Dal Boom al Pop”, che sarà visitabile fino al 27 ottobre 2024. Una mostra a grande richiesta - dice Raffaella Sgubin, direttrice dei musei e archivi storici dell’Erpac e curatrice della sezione moda con Enrico Minio Capucci, mentre il design è affidato a Carla Cerutti e le arti visive a Lorenzo Michelli - inserita nella programmazione regionale sull’onda dell’entusiasmo che ha accompagnato, l’anno scorso, il capitolo precedente, sugli anni Cinquanta e la nascita del made in Italy. Con una sfida in più: mettere in dialogo oggetti diversi per materiali, funzioni ed esigenze conservative, in un percorso intrecciato e unitario per rappresentare un decennio in cui cambia per sempre il mondo di abitare, lavorare, nuoversi, vestirsi, di vivere il tempo libero, la socialità, il sesso.


Diciannove spazi - tra gli altri, quelli dedicati all’optical, al pop, alla plastica colorata e trasparente, al cinema e alla televisione, la sala “Diabolik” con i gioielli d’artista firmati anche da Afro e Dino Basaldella per Masenza di Roma, in oro e pietre preziose, la sala sulla natura, quella sul segno, sul colore, su vetri e ceramiche, sulla Luna - circa duecento oggetti, sessanta tra abiti e accessori, una quindicina di opere d’arte, con testimonianze importanti della ricerca compiuta in regione dagli artisti di Raccordosei: Miela Reina, Enzo Cogno, Lilian Caraian, Nino Perizi, Claudio Palcic. Ricerca che, nello spazio centrato sull’”Alluminio” ricorda una collaborazione importante tra arte e moda, come fu quella tra l’udinese Getulio Alviani e la designer toscana Germana Marucelli: abiti dai giochi optical, poi con inserti di dischi metallici, che riflettono la luce e creano sul tessuto l’effetto delle “superfici a testura vibratile” di Alviani.

 

Ken Scott, 1969, tunica e pantaloni in Ban-Lon



 
Aperto, all’ingresso di Palazzo Attems, da una Ferrari 275 gtb del 1965, simbolo di pensiero e tecnologia, il percorso propone una galleria di pezzi entrati nella storia del design internazionale e nei più importanti musei del mondo. Ci sono le celebri labbra del divano Bocca di Gufram, realizzate dagli architetti di Studio 65, e l’altrettanto celebre UP 5 di Gaetano Pesce, la poltrona attualissimamente “politica” dal corpo di donna, un ventre accogliente da dea della fertilità che termina nel pouf come una palla al piede, simbolo di pregiudizi, prigionia, violenza. Accanto alla “Sacco” di Fracchia, un’altra seduta cinematografica, l’«Elda» di Joe Colombo, consacrata nel capitolo di 007 “La spia che mi amava”.

Piero Gatti, Cesare Paolini, Franco Teodoro, Seduta Sacco, 1968 (1969), Zanotta©Triennale Milano (foto Amendolagine Barracchia)

 


Il “radical design” propone oggetti di invenzione pura, dove la spinta della fantasia rompe con ogni condizionamento funzionale. Arredi firmati dallo studio fiorentino Archizoom, nato nel 1966: la poltrona Superonda, la Mies, il divano Safari con l’animalier ecologico.
Trasversali a tutti gli spazi sono anche gli abiti in mostra, una passerella ideale proiettata nei Sessanta: dall’optical di Roberto Capucci a nastri intrecciati bianchi e neri del 1965 alle esplosioni pop di Ken Scott, dagli outfit “lunari” di Paco Rabanne ai colori di Pucci, Missoni, Balestra, Mila Schön, dal pigiama palazzo di Irene Galitzine agli stivaletti in cavallino zebrato di Ferragamo, alle borse di Gucci e di Roberta di Camerino, per finire con due modelli dell’«Imperatore» Valentino.

 

Abito da sera di Valentino, 1969




 

 Poltrona UP5 con pouf UP6, 1969 ©Courtesy B&B Italia  

 
Pantaloni e camicia da sera ricamati di Roberto Capucci, completo appartenuto a Patty Pravo, 1969

 


Sintesi di un’epoca il memorabile debutto dei Missoni, nel 1967, alla Piscina Solari di Milano. Sull’acqua le modelle “sfilano” sedute sulle poltrone gonfiabili di plastica trasparente firmate dall’ingegnere vietnamita Quasar Khanh, marito della designer Emmanuelle, collaboratrice di Tai e Rosita. I vestiti e gli oggetti in dialogo rompono gli schemi e, dagli scambi, nascono nuovi linguaggi, ancora nostri.

lunedì 10 giugno 2024

MODA & MODI

Loro portavano le scarpe da tennis

 

 

Può un paio di scarpe da ginnastica influenzare il destino di un uomo politico? O permettere a un tycoon multimiliardario di mettersi sotto i piedi codici e convenzioni? Sembra proprio di sì, a giudicare dai titoli che autorevoli quotidiani internazionali, nonchè siti e riviste, hanno dedicato negli ultimi tempi alle estremità “sportive” di alcuni uomini di potere. Ricordate l’affaire-Samba, protagonista il primo ministro inglese Rishi Sunak, presentatosi nell’aprile scorso a un’intervista a Downing Street in camicia bianca, pantaloni scuri e i piedi calzati nel celebre modello Adidas, che dal 2022, merito di collaborazioni fortunate, versatilità, prezzo contenuto, estetica vintage, vive un momento di popolarità esplosiva, con ricerche su Tik Tok volate oltre 1,7 miliardi e aumento su Google del 300%?

 

Rishi Sunak

 

Le Samba sospettosamente immacolate di Sunak non ne hanno frenato la caduta libera nei sondaggi e nel gradimento degli stessi conservatori, ottenendo l’effetto opposto a quello di apparire un british disinvolto e alla moda, soprattutto parlando di politica fiscale. La comunità dei fan del modello gli si è rivoltata contro, costringendolo a pubbliche scuse alla radio, mentre Telegraph, New York Times, GC e Guardian hanno trattato la faccenda molto seriamente, quest’ultimo con un epitaffio per il premier: “le Adidas Samba erano le scarpe più cool della stagione finché Sunak se n’è preso un paio”.


Per le ginniche non va meglio oltreoceano. Donald Trump ha appena lanciato la sua capsule, approfittando della Sneaker Con di Philadelphia, raduno dedicato alle calzature sportive, giusto a pochi giorni dalla sua condanna per frode finanziaria (454 milioni di dollari). Non per nulla il modello di punta, edizione limitata in mille esemplari già esauriti in prevendita, si chiama Never Surrender High top, la scarpa di chi non si arrende: 399 dollari, un incrocio tra le Converse All Star e le Air Jordan 1, in pelle dorata, con la bandiera americana e la T, viene definita ”audace, dorata e resistente”, se non come l’ispiratore certamente come la sua chioma.

 

Donald Trump

 

 

Le critiche hanno investito prima il presidente della convention, finanziatore di Trump secondo la stampa, poi l’ex presidente Usa, il n. 45, come stampato su un altro modello di sue scarpe, le più proletarie Potus, per aver fatto nient’altro che propaganda elettorale sotto le spoglie poco credibili di testimonial.


Ultime sneaker divisive sono quelle indossate dal multimiliardario Rupert Murdoch, squalo dell’informazione, 93 anni, per convolare al quinto matrimonio con la biologa molecolare Elena Zhukova, ex suocera di Abramovic, nella sua tenuta agricola in stile toscano a Bel Air. Completo scuro, pochette bianca nel taschino, cravatta caffelatte e ai piedi scarpe da ginnastica nere con una supermolleggiata suola bianca, che gli esperti hanno individuato essere firmate Hoka, le stesse che usa il presidente Biden.

Alcuni hanno giustificato la scelta di Murdoch con l’età avanzata e la necessità di non stramazzare sull’erba davanti alla signora, di 26 anni più giovane, in formale abito bianco e tacchi a spillo, altri, come Guy Trebay, fashion editor del New York Times, hanno parlato di “strafottenza rispetto alle convenzioni sociali”, mentre per Eugene Rabkin della rivista StyleZeitgeist “le sneaker con giacca e cravatta sono orrende”.

 

Rupert Murdoch ed Elena Zhukova

 


Il severo Financial Times l’ha scritto in tempi non sospetti: “Un politico va giudicato anche per quello che si mette ai piedi”. Era l’inizio degli anni Duemila e all’epoca si dissertava sulle polacchine radical-chic del segretario di Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti.

Altre scarpe, altro passo.
 

martedì 4 giugno 2024

FOTOGRAFIA

 

La Trieste che non c'è più sulle carte

da poker della Modiano 


Piazza Unità nei primi del Novecento con negozi e locali (Archivio storico Modiano)

 

 

Dieci di picche, il Giardin pubblico, ma in Piazza Grande. Due di fiori, il Gran Bazar alla Tettoia in Cittavecchia. Due di quadri, la sartoria Forcessin in Corso, la cui specialità sono gli articoli in gomma. Nove di cuori, si sale al Belvedere dell’Obelisco, dove le signore scrutano il golfo col binocolo e si riparano dai raggi col parasole.


Giocare a poker come sfogliare un album fotografico di Trieste. Le atmosfere dei caffè, le botteghe di artigiani e commercianti, il mercato dei fiori in piazza del Ponterosso e la via dell’Acquedotto illuminata dai lampioni, Il Grand Hotel Obelisque e il Castello di Miramare, il tram della Società Anonima delle Piccole Ferrovie di Trieste e il Porto vecchio. E poi dettagli di palazzi che non esistono più o che hanno cambiato destinazione, e negozi inghiottiti dal tempo e cancellati dalle trasformazioni commerciali: chi ricorda il Deposito Cappelli, la Fabbrica Ombrelli in piazza Grande o il Caffè Bizantino in Barriera Vecchia? La città colta in una lunga sequenza fotografica dal 1906 al 1911, economicamente in pieno sviluppo e dalla vita sociale effervescente, aperta al progresso e all’innovazione, come testimoniano i binari dei tram, messi a terra nel grande porto dell’impero prima che a Parigi e a Roma.
 

Il nuovo mazzo di carte da gioco ideato e prodotto dalla Saul Daniel Modiano s’intitola “La Trieste della Belle époque” e per la prima volta utilizza le lastre fotografiche custodite nell’Archivio Storico dell’azienda, che agli inizi del Novecento servirono per la produzione delle cartoline postali illustrate.

 

Avventori al Caffè Milano in via Giulia 3 a Trieste (Archivio storico Modiano)

 


Le cinquantaquattro riproduzioni tracciano un percorso in bianco e nero nella città austro-ungarica. Si entra nei suoi Caffè, il Milano di via Giulia, l’American Bar di via San Nicolò 33 dalle sedie maestose e le tende come sipari, il Tommaseo in quella che era allora piazza dei Negozianti, il Bizantino aperto in un edificio cancellato dal tempo, il Caffè Fabris di piazza della Caserma.


Le sartorie da uomo e da signora si affacciano tutte sul Corso, quella di Carlo Gasser, di Ignazio Steiner, di Carolina Fiegele, con vetrine trionfanti di nastri e cappelli, il superbo negozio di calzature americane e inglesi da uomo De Rossi, mentre in piazza della Borsa, da Öhler, pubblicità d’antan richiamano l’attenzione sull’assortimento di pellicce, boa, piume, bluse, corredi da sposa.
Ecco le drogherie, la celeberrima Toso, un tuffo nel secolo scorso che caparbiamente ancora resiste, e la Rizzoli di Rotonda Pancera. 

Le farmacie, le librerie, tra cui la Moderna di Giuseppe Mayländer, poi acquistata da Umberto Saba, e la curiosità delle Società Cooperative di Consumo fra impiegati privati di via Madonna del mare e via Pellico. Tante botteghe ormai dimenticate che la legenda inclusa nel mazzo aiuta a individuare, con l’indicazione della collocazione e del toponimo dell’epoca. Il quattro di fiori è la vecchia sede del Piccolo, affacciata su Piazza della Legna.


«Sulla scorta della mostra allestita nel salone del Palazzo delle Poste centrali su “Botteghe, caffè e negozi nella Trieste delle cartoline S.D. Modiano” - spiega il presidente Stefano Crechici - abbiamo pensato di portare su un mazzo di carte la Trieste che in parte non c’è più e che in parte si può ancora ammirare. L’avevamo già fatto con la Venezia dei tempi andati, ora per la prima volta abbiamo aperto il nostro archivio per illustrare con Trieste le carte da gioco. Al posto del tradizionale catalogo, per testimoniare la mostra alle Poste abbiamo scelto un modo più originale e inerente alla vocazione della nostra azienda».

 

 

Una Cooperativa tra Impiegati Privati di Trieste (Archivio Modiano)


Per il rovescio delle carte la Modiano si è ispirata al decoro liberty della Casa Bartoli di piazza della Borsa e al rosone della cattedrale di San Giusto, realizzando una grafica che idealmente fonde due tra gli elementi architettonici più noti di Trieste, insieme alle alabarde, simbolo della città. E c’è un’altra curiosità. Nel mazzo anche la storica catena di produzione della Modiano. I lavoratori di oltre cent’anni fa diventano protagonisti: sui due jolly sono rappresentati un’operaia al lavoro nel reparto asciugatura e donne e uomini addetti al taglio delle carte da “giuoco”.


«Sarà per tanti triestini una riscoperta di luoghi e botteghe - prosegue Crechici - ma “La Trieste della Belle époque” è anche un souvenir ideale per i turisti, un modo per passare il tempo del viaggio o un oggetto prezioso da conservare». I mezzi tecnici di oggi, infatti, consentono di utilizzare le lastre per le cartoline ottenendo una definizione molto maggiore, che fa delle carte triestine piccoli oggetti da collezione. Quasi come un paio di “Barry shoe” in vetrina da De Rossi.