mercoledì 28 agosto 2024

MODA

Emily in Paris veste Roberto Capucci

L'abito nell'archivio a Villa Manin

 

 



 Roberto Capucci cade dalle nuvole. «Non ne sapevo niente» dice il grande couturier romano, il cui preziosissimo archivio è conservato a Villa Manin di Passariano dove ha sede anche la Fondazione che porta il suo nome. Il suo abito “Nove Gonne”, rosso fuoco in taffetà di seta, anno 1956, agli esordi del made in Italy nel mondo, comparirà nella seconda parte della serie “Emily in Paris”, le cui nuove puntate debutteranno su Netflix dal 12 settembre.


È una citazione, non l’originale. Emily, in trasferta romantica a Roma, scenderà la scalinata di Piazza di Spagna in un modello quasi identico a quello di Capucci, anch’esso custodito a Villa Manin, con la sostituzione di un paio di pantaloni Capri alla gonna a tubo che nella versione autentica esce dalla raggiera di nove strati di tessuto, poi raccolti in un breve strascico (questioni di copyright?).

«Nessuno ci ha consultato - conferma il nipote del designer, Enrico Minio Capucci, responsabile della Fondazione - ma ne siamo felicissimi. L’abito fa parlare quasi più della serie. È comparso su Vogue Spagna, su molti blog, su Vanity Fair, dove nell’articolo è riportato in fotografia un altro abito Capucci attualmente esposto a Palazzo Attems Petzenstein di Gorizia, nella mostra su moda e design degli anni Sessanta, un modello della Linea Optical ispirato all’Op-Art e alle opere di Victor Vasarely».


Il “Nove Gonne”, disegnato da Capucci a 26 anni guardando i cerchi concentrici disegnati da un sasso lanciato a pelo d’acqua, è una delle creazioni più iconiche ed esposte della sterminata collezione storica del couturier, accanto al celebre “Fuoco”, ed è appena rientrato a Passariano da un allestimento alla Fondazione Zani di Brescia dedicato al rosso nei busti di porfido romani e al rosso nella moda.

 Il “Nove Gonne” fu realizzato per una delle tante, famose clienti del couturier, le fedeli “capuccine”, la nuotatrice Esther Williams, protagonista di “Bellezze al bagno”, ma in una versione diversa da quella custodita a Villa Manin, con spalle e schiena scoperte, per permettere all’ex nuotatrice di mettere in mostra la sua notevole fisicità. Ha fatto anche pubblicità, fotografato nel ’57 per promuovere una fiammante Cadillac sullo sfondo del Foro Romano. L’anno scorso, sempre a Palazzo Attems Petzenstein a Gorizia, l’abito era tra i più celebrati della mostra dedicata agli anni Cinquanta e alla nascita dello stile italiano.

 

 

"Italia Cinquanta" nel 2023 a Palazzo Attems Petzenstein di Gorizia


L’Emily della serie, l’attrice Lily Collins, pr di Chicago esportata nella Ville Lumière, dove per i critici, in particolare d’oltralpe, interpreta fin troppo filologicamente gli stereotipi sullo stile francese visto dagli americani, nella nuova parte della stagione si sposta a Roma. E qui, fatalmente, proprio come Audrey Hepburn nelle “Vacanze romane” di William Wyler del 1953, con cui vinse l’Oscar, incontrerà il suo Gregory Peck, che nella serie - a proposito di stereotipi - non poteva che chiamarsi Marcello (l’attore Eugenio Franceschini), e si farà scarrozzare in Vespa nella città della Dolce Vita con una serie di mise, dal foulard al collo alla gonna ampia con sottogonna di tulle, modellate dalla costumista Marylin Fitoussi su quelle indossate dell’inarrivabile Audrey.


A Villa Manin, intanto, si lavora al Museo dedicato al genio inventivo di Roberto Capucci, che dovrebbe aprire entro l’anno, in vista della Capitale della Cultura. Esposizioni a tema che presentino al pubblico non soltanto le sue architetture tessili, ma anche le sculture e l'infinito giacimento di disegni e costumi, gli ultimi per “Le creature di Prometeo. Le creature di Capucci” al Festival dei due mondi di Spoleto.

martedì 20 agosto 2024

MODA & MODI

Bermuda, slip, perizoma: le opzioni del maschio al mare 

 

Alain Delon e Romy Schneider in "La piscina" (1969) di Jacques Deray

 


 Mutande, boxer, bermuda? Slip o calzoncini? Gli uomini non sono esenti dalle regole del bon ton da spiaggia, anche se le loro opzioni sono apparentemente più semplici e scontate. Regole non scritte e non sanzionate - salvo quelle in vigore in molte località balneari, che vietano di aggirarsi senza maglia o in costume in città, per scongiurare che un popolo seminudo attraversi le strade, entri nei negozi o si accomodi al ristorante - si richiamano al buon senso e al buon gusto, territorio scivoloso e interpretabile, dove è facile sentirsi nel giusto.

 

Questione di misure e di proporzioni, prima di tutto. Se i costumi maschili non conoscono il cut out, perché nessun designer potrebbe arrivare a tanto da tagliare un pezzo di stoffa qua e là, scoprendo che ne so una porzione di gluteo o uno spicchio di pube pur di esercitare la sua creatività su un pezzo di stoffa pressoché immodificabile, lunghezza e forma fanno la differenza, eccome.

 

Bermuda fino al ginocchio o oltre? Banali considerazioni sulla scomodità dovrebbero scoraggiare questa opzione. È consigliabile non aggirarsi in spiaggia con un paio di pantaloni da città, peggio se con tasche posteriori o laterali, inutili ammennicoli soprattutto sulla sabbia. Il calzone urbano non diventa calzone da mare solo perché si attraversa il confine tra città e spiaggia, non è un capo fungibile e ancora meno un alibi per evitare di cambiarsi, fa solo sembrare troppo vestiti e appesantiti per il contesto.

 

Gli slip a mutanda? Il coro dovrebbe levarsi solenne, come nella tragedia greca: rasentano il filo della volgarità e non stanno bene a nessuno, per quanto palestrati e asciutti possiate essere. Brutti sui magri, inguardabili su chi è sovrappeso o sovrapancia. Certamente le recenti olimpiadi hanno suscitato qualche fantasia emulativa, da allontanare senza patemi. Le mutande possono serenamente rimanere confinate nell’intimo inteso come categoria vestimentaria e come privacy. E c’è un’aggravante: l’utilizzo, il sale, il cloro, ne allentano i bordi, rendendo ancora più difficile sottrarsi all’effetto penzolamento.

 



La scelta che rimane è la migliore: il pantaloncino a metà coscia. Alain Delon ne "La piscina" con Romy Schneider (1969) è l'immagine che in queste ore abbiamo davanti agli occhi. D'accordo, Delon. Ma il pantaloncino è decoroso per qualsiasi età e fisico. Chi vuole sbizzarrirsi ha colori e fantasie a volontà, per gli altri c’è la palette dei blu. Il dilemma, semmai, è che cosa metterci sotto per evitare il fastidio delle reticelle contenitive. Ecco allora che lo slip-mutanda può ritrovare, ben nascosto, una sua ragion d’essere. Non così il comune boxer di cotone con il bordo griffato - i sempiterni Armani-Calvin Klein-Ralph Lauren - da lasciar uscire dai pantaloncini, in pratica l’urbana mutanda a vista trasferita al mare, purchè ci sia il logo.

 


 


Veniamo all’estremo, l’innominabile. Pensavate che fosse esclusiva delle scuole di danza? Non è così. Il perizoma si aggira tra noi (molto più vicino di quanto pensiate) complice il fisico senza maniglie di qualche temerario estimatore. Qui gli aggettivi vengono meno per non essere tacciati di un qualsivoglia shaming, dal body al cervello. Lavorate di fantasia, la risposta verrà da sé.

lunedì 5 agosto 2024

 MODA & MODI

 Che brat quel verde

 


 

 

Farà bene il verde brat a Kamala Harris, la candidata democratica che sfiderà Trump alle presidenziali americane? Se vi state interrogando su che sfumatura sia il brat green, per la Gen Z non siete altro che cringe, in sostanza “inadeguati”, una sotto categoria del boomer. È il verde che campeggia sull’omonimo album della cantante pop britannica Charli XCX, dal titolo omonimo: un verde acido, irritante, disturbante, con una punta di giallo, il verde da ragazzacce che vogliono sovvertire le regole, scocciare e scuotere le convenzioni, essere anche brutte e fastidiose, pungolare, al contrario della perfettina e leccata Taylor Swift con tutti i suoi fan legati dai braccialetti dell’amicizia. Il verde brat è infido come quel campo unico sulla copertina del disco, dove è stampigliato il titolo volutamente sfocato, brat, appunto, termine diventato categoria di un’opposizione alle regole che rifiuta ogni categorizzazione.

Verde tossico, che può far male. Niente di nuovo, insomma, perché il verde, per secoli, ha avuto una connotazione sinistra. “Kamala is brat” ha lanciato Charlie XCX su X - il social di Elon Musk sostenitore di Trump - e immediatamente i profili della vice presidente americana hanno reagito, assorbendo colore e logo e gongolando per l’endorsement che fa breccia nelle giovani generazioni. Difficile immaginare Kamala, congelata nei suoi tailleur pantaloni maschili da consiglio di amministrazione, nelle giacche dalle spalle forti così corporate, farsi galvanizzare e spiazzare da un colore che irrompe nella palette scontata della donna di potere: il blu del suo partito, il bianco delle lotte femminili, il nero della stabilità istituzionale.

Quando Kamala ha indossato il viola per la cerimonia dell’insediamento - caricando su quel cappottone imponente il senso dell’unione nazionale, blu più rosso, democratici e repubblicani, l’omaggio alla prima donna nera eletta al Congresso, Shirley Chisholm, che amava il viola, e tutti i contenuti antirazzisti del film “Il colore viola” di Spielberg - ha esagerato nella simbologia e nei significati impliciti, lasciando l’impressione di un colore sopra le righe. Il power dressing, che lega moda e politica, ha equilibri sottili.


Intanto, ringalluzzito dall’ondata di popolarità delle ultime settimane, il verde brat spunta nelle vetrine degli agonizzanti saldi di stagione: qua e là una gonna, una camicia, un accessorio. Testimonial d’eccellenza Miuccia Prada, che da sempre privilegia un verde anticonvenzionale, piu virato sul lime, portandola in versione total anche all’evento degli eventi, il Met gala nel 2018 e 2023.

 

Miuccia Prada, Met gala 2018 ph. REX/Shutterstock

 

 È dal 1996 che la signora dell’ugly chic maneggia con disinvoltura il verde, abbinandolo al marrone, come nelle piastrelle e negli arredi anni Cinquanta, in una combinazione poco commerciale e proprio per questo spiazzante, come il brat di oggi. Vale dunque la pena comprare un pezzo di questo colore? Ha diluito e poi spazzato via il rosa Barbie, col suo coccoloso buonismo, è diventato il colore intruso di questa mezza estate. Dove una staffilata cromatica ci vuole. Non solo per la candidata.