martedì 1 maggio 2007

IL LIBRO
Laila Wadia: amiche per la pelle in via Ungaretti

La scrittrice indiana Laila Wadia

C'è un microcosmo etnico in via Ungaretti 25, una strada di Trieste rannicchiata giusto a metà tra la città neoclassica di Ponterosso e la ristrutturata Cittavecchia. E' una strada di cui si sono dimenticati sia l'amministrazione che il sole, come le calze vecchie con i buchi che si pigiano in fondo all'armadio ripromettendosi di trovare il tempo, e la voglia, di rammendarle.
In questa via c'è un palazzo muffoso, tozzo e sciatto, dalle cui finestre escono luci diverse, rivelatrici dei singolari inquilini che ci abitano, dei loro caratteri e dei loro segreti. Al primo piano, in un'atmosfera rossa e soffusa, filtrata dai lampadari di carta di riso, vive la famiglia cinese Fong, mamma, papà, nonna e un nugolo di bambini legati tra loro da un'incerta parentela. Al secondo piano, in un gioco di neon blu e verdi, dall'effetto Star Trek, ci sono gli albanesi Dardani, mentre al terzo, illuminati da lampadine a cento watt che penzolano tristemente da fili neri, come impiccati, abitano i profughi bosniaci Zigovic, Slobodan, Marinka e i loro figli gemelli, e gli indiani Kumar, la cui giovane Shanti, mamma della piccola Kamla e moglie del cameriere Ashok, è la voce narrante di questa storia.
Shanti ha visto suo marito solo il giorno delle nozze, a Sholapur, prima di partire per l'Italia, scostando i gelsomini e le tuberose che, dal turbante, gli pendevano davanti al viso: con quell'uomo, dalle mani grandi e ruvide, scoperte solo quando il bramino le ha unite con un foulard di seta, Shanti è partita per un paese e un destino sconosciuto, pregando in cuor suo che quelle mani non si alzino mai su di lei.
Ma c'è anche un'oasi di «triestinità» nel palazzo. E' lo scorbutico gattaro signor Rosso, uno zitellone inacidito tra sigarette, libri e mastodontici mobili impero, che tutti i condomini ormai, cancellando le r come fa Bocciolo di rosa Fong, chiamano signor «Lo So». Ricevendone in cambio, in qualche raro incrocio sul pianerottolo, un secco: «Cazzo, altri negri».
Via Ungaretti non esiste. L'ha inventata Laila Wadia, la scrittrice indiana e triestina d'adozione, per ambientarci il suo primo romanzo, «Amiche per la pelle», pubblicato dalle edizioni e/o, che sarà in libreria l'11 maggio, il giorno dopo la presentazione al Salone del libro di Torino.
Non è una storia di migranti, quella scritta da Laila Waida, o meglio, non è solo questo. L'autrice - quando per la prima volta parlò di questo romanzo in nuce, un anno fa, in un'intervista al «Piccolo» - aveva pensato di intitolarla «Via Ungaretti», perché sono proprio il poeta e i suoi versi a raccogliere idealmente e a districare tutti i fili delle storie che si intrecciano nel palazzo. Storie di sensibilità e provenienze lontane, che trovano un loro miracoloso equilibrio grazie alle quattro donne, le vere protagoniste, Bocciolo di rosa, dolce e burrosa, l'albanese Lule, che sfoggia un benessere ordinario e chiassoso, di oscura provenienza, la dura Marinka, dal cuore disseminato di cicatrici, e Shanti, forse un po' l'autrice, quella in cui la voglia di integrazione è più forte e matura e anche la capacità di intravedere un futuro al di là di quella strada.
E poi c'è Kamla, Camilla come la chiama il signor Rosso («almeno non hai un nome da negra...»), la piccola che per prima entra nell'antro fumoso del gattaro e ci scopre la magia dei versi, delle parole che si combinano in un puzzle dai suoni affascinanti ma dall'immagine ancora indecifrabile. Kamla trova la chiave di un cuore indurito dal tempo e dalla solitudine e cambia il destino di tutti.
E' una lettera a gettare nello scompiglio il microcosmo multietnico di via Ungaretti. Il proprietario dell'edificio è morto e l'erede intende al più presto far sloggiare quei pittoreschi inquilini in nero per ristrutturare gli appartamenti. La Lettera è un nemico subdolo, a tutti quasi incomprensibile. Sta lì, nel soggiorno «internazionale» di Shanti, arredato con il piatto con l'immagine di Durazzo, dono di Lule, con il vaso cinese scheggiato, che la cugina di Bocciolo di rosa non riesce a vendere nella Chinatown triestina di via Ghega, con la poesia di Saba scritta a mano, regalata dal signor Rosso a Kamla, quella poesia che la prima volta che la leggi non la capisci bene... Triestehaunascontrosagrazia...
Lo sfratto è un po' come le lezioni di italiano di Laura, l'insegnante che le quattro donne hanno trovato grazie al «Mercatino» per imparare la lingua: obbliga tutti a fare i conti con il proprio passato.
Marinka non riesce a imparare le frasi comparative. «In Cina c'è più gente che in Italia», dice Bocciolo di rosa. «In Italia c'è più pulizia che in India» le fa eco Shanti. «In Italia c'è meno odio che in Bosnia» riesce a malapena ad articolare Marinka, che in via Ungaretti ha trovato un approdo alla furia della guerra. Lasciare la casa è riaprire una ferita, trovarsi di nuovo sballottata da un destino incontrollabile che annienta ogni fragile certezza, conquistata con i denti.
Ma anche in via Ungaretti non tutto è come sembra e la Lettera apre la strada a una raffica di piccoli colpi di scena. Perché il signor Rosso non reagisce alla minaccia dello sfratto? E chi è quel giovane dalla pelle scura che si presenta a chiedere di lui? Quale segreto ha custodito per tutta la vita l'unico triestino di via Ungaretti 25?
Quando ormai tutto sembra deciso e le amiche per la pelle destinate a separarsi per sempre, ecco che la storia cambia verso e si avvia al lieto fine. E, ancora una volta, la soluzione arriva attraverso una poesia, magari zoppicante e dalle rime incerte, così diversa da quelle brevi e folgoranti su cui Kamla ha imparato a parlare l'italiano meglio dei suoi genitori.
Sottile e compiuta come una filigrana, senza la pretesa di incrociare i grandi interrogativi che accompagnano i movimenti dei popoli, «Amiche per la pelle» è una favola leggera sull'integrazione possibile e necessaria, attraverso la parola di uno, che poi diventa la parola di tanti, anche se dissimili. Come nei suoi racconti, che hanno vinto tanti premi di letteratura migrante ma non solo, Laila Wadia racconta Trieste, i suoi «triestini», «taljani», «negri», con ironia, senza indulgenze ma con l'affettuoso disincanto, perfino un po' complice, del residente. Lo dice Shanti, leggendo «Trieste» di Saba, dono del signor Rosso: «La prima volta non la capisci bene, ma poi ti penetra nel cuore, come questa strana città».
twitter@boria_a

 La copertina di "Amiche per la pelle" (edizioni e/o)

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