martedì 15 maggio 2007

MODA & MODI

C'era Izzy a Trieste, talent scout infelice
Isabella Blow con un cappello di Philip Treacy

Qualcuno forse la ricorderà, superospite della prima edizione di ITS al castello di San Giusto. Quella signora apparentemente fuori contesto, con le labbra rosso fuoco e gli occhi saettanti sotto singolari cappelli che non toglieva mai. Era eccentrica, infastidita, annoiata, simpatica a pochi. Caracollava sul ghiaino, nel cortile del castello, in equilibrio su tacchi a matita, fasciata in un abito di pizzo verde tenero e sempre seguita da un'assistente. Isabella Blow era la componente più autorevole della prima giuria del concorso di moda triestino. Un personaggio il cui nome, ai giovani aspiranti stilisti arrivati a Trieste da tutto il mondo in quella torrida estate 2002, non diceva pressochè nulla.
Ma la capricciosa Izzy, talent scout della moda di fama internazionale, aveva fatto la fortuna di due perfetti sconosciuti come loro, spedendoli all'anonimato tra le stelle: l'enfant terrible Alexander McQueen, che aveva scoperto in una cantina di Piccadilly a Londra, e il pazzo cappellaio inglese Philip Treacy, le cui creazioni continuava a indossare. Lo fece anche alla premiazione del concorso a San Giusto, consegnando, impacciata e quasi controvoglia, il premio più importante al vincitore, Daniele Controversio, la cui creatività poco imbrigliabile l'aveva subito intrigata. Vestiva un abito nero semitrasparente di McQueen e un surreale copricapo a forma di vascello di Treacy. Sparì subito dopo, senza concedersi alla festa notturna per i vincitori, ma lasciando agli organizzatori del concorso una frase su cui meditare: «Non mi interessano i disegni, voglio vedere quei maledetti abiti che si muovono sulle persone». Era diretta e aveva un fiuto infallibile.
Non a caso, prima di lavorare come fashion editor per l'edizione inglese di Vogue, per il Sunday Times, per Tatler, prima di essere consulente di aziende come Dupont (che l'aveva invitata a Trieste) e Swarovski, era stata assistente a New York di Anna Wintour, la direttrice di Vogue America che ha ispirato «Il diavolo veste Prada».
Isabella Blow è morta nei giorni scorsi, a 48 anni, suicidandosi con una dose di diserbante nella tenuta di famiglia, vicino a Gloucester. Agli ospiti, tra cui Treacy, aveva detto: «Vado a fare shopping». Lottava con un tumore, ma più che la malattia fisica l'hanno consumata la maternità mancata, forse l'ingratitudine di qualche pupillo (McQueen, quando vendette il marchio a Gucci, la mise da parte...) e la depressione che, confessava al marito, il nobile Detmar Blow, non «riusciva a sconfiggere». Nella sua storia familiare, un filo tragico: il nonno nobile, sospettato di avere ucciso un rivale in amore, pure lui suicida, un fratellino annegato sotto i suoi occhi nella piscina, mentre la madre, impenetrabile, era corsa in casa a mettersi il rossetto. «Questo può avere qualcosa a che fare con la mia ossessione», ammetteva Izzy. Quando la sentivano arrivare, proprio come la Miranda del film, le sue collaboratrici si affrettavano a ritoccarsi le labbra, perchè Izzy non parlava con chi non portava rossetto. Aveva già tentato il suicidio due volte, la prima gettandosi da un cavalcavia di Londra, che considerava un'icona degli anni Sessanta.
Quando venne a Trieste, si aggirava tra i giovani stilisti quasi disinteressata. Eppure non le sfuggiva un dettaglio, le bastava uno sguardo per misurare le novità, capire le potenzialità di un'idea, scartare la ripetitività. Aveva un linguaggio colorito, tagliente, disegnava o
cancellava un vestito con due aggettivi. Ma Izzy era insofferente al lavoro di giuria, riteneva il suo parere indiscutibile e non mediabile.
Alla fine non è riuscita più a trovare una casa nel mondo e tra i guru che aveva contribuito a creare. A sentire calore sotto quelle luci che, alla lunga, stancano, e poi ghiacciano.
twitter@boria_a

Nessun commento:

Posta un commento