martedì 24 febbraio 2009

MODA & MODI: sublime scomodità della pochette

Dice la designer Nathalie Hambro in «The art of handbag» che le donne si portano a spasso le proprie nevrosi e che riempiono la borsa di oggetti per placare l'insicurezza e rassicurare la propria vanità. Se è davvero così, nei prossimi mesi bisognerà imparare a economizzare su entrambi i fronti: un paio di xanax e un gloss non più spesso di una sottiletta. Che altro potrà mai entrare nelle pochette, quelle micro-borse gioiello, raffinate e inutili, che ognuna di noi ha ordinatamente accumulato nell'armadio? Belle e impossibili, ti costringono a sfidare il principio dell'impenetrabilità dei corpi per farci convivere almeno le chiavi, il bancomat e un cellulare, abbandonando altre ancore di salvezza, altri pezzi di «utero», per dirla con Freud: occhiali, trousse, kleenex, iPod, la vecchia agendina, indispensabile quando la tecnologia ti molla...
Nelle vetrine, il confronto è impietoso. Accanto a tante informi valigie mancate, borsoni da Eta Beta, le cui dimensioni sembrano avere l'unico obiettivo di sostenere la griffe, ecco spuntare queste buste glitterate o tempestate di pietre, morbide e rigide, coloratissime o nere, con la chiusura a scatto o a borsellino, di rettile o tela vintage, bauletti preziosissimi in pancia di coccodrillo o decorati di cristalli Swarovski, di vernice o paglia, parchi, in misure ed esborso, o limited edition, come la candy-box creata da Marras per l'apertura della nuova buotique di Kenzo a Milano, con una chiusura-bracciale da fissare intorno al polso per le smemorate.
«Le borse piccole sono simbolo di potere» ammonisce Fiora Gandolfi, giornalista e stilista. Difatti, la segaligna Diana Vreeland, direttrice prima di Harper's Bazaar e poi, dal '62 al '71 di Vogue Usa, era una fan delle borse bonsai, che suppliva con tante tasche su pantaloni e cappotti, mentre Anna Wintour, l'attuale numero uno di Vogue Usa, ha eliminato il problema alla radice e la borsa non la porta mai, seguita com'è, costantemente, da un'assistente-sherpa.
Se non subito al potere femminile, la pochette (da poches, tasche, che nel '700, per praticità, non erano cucite sui vestiti, ma appese alla cintura) è legata di sicuro a una rivoluzione sociale: si afferma tra il 1920 e il '30 insieme agli abiti fascianti e leggeri, alle pettinature alla maschietta, al rayon e alla seta, alle sigarette in pubblico. E ora che gli uomini sono in crisi d'identità e temono l'aggressività della partner, ecco il ritorno della borsa mignon.
Le fashion victim non faranno troppa fatica a camuffarsi da donna di potere: tacchi altissimi, ci ammaniscono per quest'estate gli stilisti, e la pochette che rende inservibile una mano, costringendoci a un portamento adeguato e una buona dose di sangue freddo per compensare la limitazione dei vezzi al seguito.
Sublime scomodità che ci farà guadagnare in glamour. In una pochette è impossibile essere colte a «ravanare» disperatamente alla ricerca di qualcosa. E in una pochette ci sta talmente poco, che cambiarla è divertimento, non quel noioso «trasloco» che di solito ci impigrisce, per mesi, nell'utilizzo della stessa borsa. Dior avvertiva, nel suo «Little dictionary of fashion» del 1954: «Puoi indossare lo stesso abito dalla mattina alla sera, ma per essere vestita alla perfezione non puoi mantenere la stessa borsa». Voilà, direbbe Monsieur: con questa scatolina fashionista il gioco è fatto.
@boria_a
Carrie Bradshaw con una delle celebri clutch di Sex&TheCity (handbag.com)

Nessun commento:

Posta un commento