martedì 2 novembre 2010

MODA & MODI: Michelle Obama non salva i suoi beniamini


Michelle Obama nell'abito di Maria Pinto (Charles Ommanney/Getty Images)
Chi non ricorda il vestito rosso e nero indossato da Michelle Obama nella "victory night" di Chicago, il 5 novembre 2008, un modello entrato nella storia insieme al nome del suo creatore, lo stilista messicano Narciso Rodriguez? O il giallo firmato dall'americana di origine cubana Isabel Toledo, con cui la first lady, commossa e maestosa, attraversò Washington il 20 gennaio 2009? O ancora l'abito bianco, che lasciava scoperta una spalla, scelto per il gran ballo del giorno dopo, che riscattò in pochi secondi dall'anonimato il designer taiwanese Jason Wu, incoronandolo sulle pagine di tutti i giornali del mondo? Dall'accettazione della candidatura da parte del marito - che Michelle salutò in una guaina ciclamino firmata da Maria Pinto - agli appuntamenti di Stato soprattutto del primo anno dell'era Obama, ogni capo sfoggiato dall'inquilina della casa Bianca ha occupato siti, riviste, quotidiani del pianeta, trasformandosi per i relativi creatori in altrettanti spot di portata planetaria. Chi aveva mai sentito parlare di Prabal Gurung prima che Michelle indossasse un suo vestito rosso bollente alla cena con i corrispondenti dalla Casa Bianca, il 1° maggio di quest'anno? Nessuno: eppure il giorno dopo il sito dello stilista era intasato e negozi che non l'avevano mai degnato di attenzione, agognavano improvvisamente di appendere agli attaccapanni i suoi modelli.
Dell'immenso business pubblicitario legato alla signora Obama, e delle sue ricadute economiche sulle vendite di certe griffe, si è occupato piuttosto seriamente il New York Times, chiedendosi, all'annuncio dell'improvvisa chiusura dell'impresa proprio di Maria Pinto, se le preferenze della first lady si trasformino davvero in dollaroni per gli stilisti. Conclusione non automatica: tant'è che la stessa icona per eccellenza del guardaroba della signora, l'abito rosso e nero della vittoria, dagli iniziali 4.400 dollari veniva poi "regalato" sul sito del magazzino del lusso Bergdorf Goodman a  1.500. Insomma, Michelle "influenza" lo stile, non promuove gli stilisti. Il dibattito è destinato a riaccendersi ora che un altro suo beniamino, il texano ex-surfista Tracy Feith, è sull'orlo del fallimento e non riesce a pagare l'affitto delle boutique di New York e Long Island. A lui si deve il vestito nero con stampe a fiori e uccelli - brutto - per il Wednesday's  National Prayer Service, l'incontro di preghiera al quale tutti i neopresidenti americani partecipano con la consorte appena insediati. Un appuntamento, dal punto di vista mediatico, non proprio glamour, ma di qui a  chiudere bottega ce ne corre. Cos'è cambiato? Anzi, com'è cambiata l'America a un anno e undici mesi dalla notte vestita da Rodriguez? "La first lady ha il merito di aver democratizzato la moda", commentavano allora gli osservatori del costume, promuovendo qualche sporadico golfino da grande magazzino di Michelle e bocciando il "total griffe" di Sara Palin, ex governatrice dell'Alaska. Ma ora Obama è in affanno e la Palin, proprio lei che veniva stroncata per aver speso 150 mila dollari per il guardaroba elettorale, guida il recupero repubblicano conquistando la gente con frasi fatte, tea party e talleurini legnosi. La crisi economica è spaventosa, investe anche gli stilisti. Se davvero era Michelle a tenerli in piedi, non basta più.
@boria_a
Michelle Obama rosso fuoco firmato Prabal Gurung alla cena dell'associazione corrispondenti della Casa Bianca, il 1° maggio 2010 (foto Sutra Jewels, che firma il bracciale dorato)

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