martedì 21 agosto 2012

IL LIBRO

Virginia Agnelli, la farfalla nel cassetto

Virginia Bourbon del Monte di San Faustino il giorno delle nozze con Edoardo Agnelli, l'8 giugno 1919

Le labbra sottili, l'ampia scollatura, la mano lunghissima che regge un fiore, i riccioli rossi pettinati all'insù, una corona regale intorno al viso. La massa dei capelli sostituisce il cappello, che invece dovrebbe portare, come impongono i canoni di eleganza alle aristocratiche, anche se giovani e testarde. Una donna reale e insieme una fata o forse un po' una strega. È Virginia Agnelli, nata principessa Bourbon del Monte di San Faustino, nel ritratto che Gianni, uno dei suoi sette figli, il più celebre, il principe della Camelot italiana, tiene accanto al letto nella casa di corso Matteotti, a Torino. Una giovane donna affascinante e misteriosa, di cui Leonor Fini, l'autrice del dipinto, coglie la natura più riposta: un giunco d'acciaio, anticonformista e volitiva, passionale e indomabile. Una farfalla dalla grazia innata, che, se mprigionata, sa sbattere le ali senza tregua, fino a riottenere la libertà. Sua mamma Jane, americana senza dote, cui il vecchio continente ha riservato Carlo, marito dal purissimo sangue blu, dice di lei, ventenne poco incline alle regole: «Il suo volto non era di quelli che lasciano intravedere un destino tranquillo e comune. Virginia non si sarebbe accontentata di ciò che fa felici le altre donne».
Come mai si sa così poco di Virginia Agnelli, la moglie di Edoardo, figlio di Giovanni, il fondatore dell'impero Fiat? La vedova che il potentissimo suocero fece pedinare, sorvegliare, "intercettare" si direbbe oggi,dall'Ovra, la polizia fascista, in un'estenuante battaglia giudiziaria, pur
di strapparle i sette figli? La donna bellissima, amata dal narciso Curzio Malaparte, che in lei vedeva anche lo strumento per riconquistare la direzione de "La Stampa", da cui era stato cacciato? La mamma attenta e tenera, soprattutto con Giorgio, uno dei sette, tormentato e malato come altri degli Agnelli a venire, cancellato da una morte misteriosa e dall'oblio della famiglia? La diplomatica che, il 10 maggio 1944, alle otto del mattino, promosse l'udienza segretissima tra Pio XII e Karl Wolff, capo delle SS in Italia, per scongiurare la distruzione di Roma da parte dei
tedeschi in ritirata? L'antica nemica che, nella stessa giornata, oliando le ruote cardinalizie di Roma, Milano e Torino, negoziò la futura salvezza del suocero, accusato, dopo il 25 aprile 1945, di essere stato collaborazionista
e fornitore di guerra?
"Virginia Agnelli. Madre e farfalla" s'intitola la biografia firmata da Marina Ripa di Meana e dalla giornalista Gabriella Mecucci (Minerva Edizioni, pagg. 286, euro 19,00), che restituisce, col respiro del romanzo, la breve vita di uno dei personaggi più eterei e inafferrabili di casa Agnelli. Cancellate le tracce, sparite le lettere, rastrellate le
fotografie, acquistata da Gianni, e sepolta in un cassetto, la sceneggiatura del libro "Vestivamo alla marinara", grande successo della sorella Susanna, dove molto si parla dell'intenso rapporto tra Virginia e i suoi figli, le due autrici hanno dovuto compiere un'opera da rabdomanti, cercando, sul filo dell'intuito, e portando alla luce con infinita pazienza, ogni più piccolo indizio, ogni traccia, ogni rimando contenuto nell'opera di storici, giornalisti, nelle memorie di amici.
Ma chi ha fatto scendere il silenzio sulla vita di Virginia? Perché Gianni, che pure provava tenerezza per quella madre bellissima e travolgente, non ne parlava mai e si è adoperato perché nessuno lo facesse? Per paura dello scandalo? Perché la costruzione del suo mito non lasciava spazio ad altri?
Marina Ripa di Meana e Gabriella Mecucci sposano questa tesi e raccontano, molto attraverso le loro debolezze, la storia dei Kennedy italiani, l'unica monarchia accettata dai tempi dell'esilio dei Savoia.
Scandalo c'è e fin da subito nella vita della principessa Virginia Bourbon del Monte, andata sposa ventenne, l'8 giugno 1919, a Edoardo, rampollo di casa Agnelli, di sette anni più vecchio. Matrimonio opportuno, anche se d'amore: lei ha un cognome di altissimo blasone, aristocrazia al soglio
pontificio, per lui il coriaceo padre, senatore Giovanni, aspira alla promozione sociale delle nozze con una fanciulla nobile. Rimane solo una comparsa alla Fiat, Edoardo, cui il padre preferisce Vittorio Valletta, così come alla "Stampa", dove pure presiede il consiglio di amministrazione: la coppia, giovane e dalla vita principesca, si limita a tenere le pubbliche relazioni con la nobiltà romana e con l'aristocrazia piemontese o a trastullarsi con avventure imprenditoriali minori come il lancio della stazione sciistica del Sestriere, Edoardo anche con la Juventus e i primi ingaggi "milionari" degli argentini Orsi e Monti.
Sette figli in quattordici anni, da Clara nel 1920, a Umberto nel 1934, e in mezzo ci sono Gianni, Susanna, Maria Sole, Cristiana e Giorgio, una vita spensierata e mondana, punteggiata da reciproci tradimenti e dagli scandali piccanti che coinvolgono Edoardo. Torino, austera e perbenista, sta stretta a Virginia, prima accolta con curiosità, poi censurata per i suoi modi, il suo accento romano e la sboccataggine, il vezzo di girare nuda per casa e di regalare biancheria intima alle cameriere. Anche il suocero nutre verso di lei un sentimento duplice, di fascinazione per la vitalità e la grazia della farfalla, di fastidio per l'esuberanza impossibile da contenere.
Il 14 luglio 1935, Edoardo, l'erede dell'impero Fiat, muore in un incidente sull'idrovolante, mentre da Forte dei Marmi sta entrando nel porto di Genova. È la svolta drammatica nella vita di Virginia. Di lì a un anno il suocero intraprende contro di lei una battaglia legale durissima e senza esclusione di colpi per l'affidamento di quei sette nipoti di cui fino ad
allora si è poco interessato, arrivando al punto di farli strappare alla madre dalla polizia, nel dicembre 1936, sul treno in sosta alla stazione di Genova. Virginia gli ha messo in mano un'arma formidabile, la relazione con
Curzio Malaparte, allacciata a Forte dei Marmi pochi mesi dopo la morte del marito. Un rapporto di cui si hanno notizie minuziose attraverso le informative dei migliori agenti dell'Ovra, Attilio Dubois ed Ezio Attieri, personaggi abili e di alta estrazione sociale, che non hanno problemi a infilarsi negli stessi ambienti dei due amanti e a riferirne ogni mossa al capo della polizia Arturo Bocchini, interessato direttamente dal senatore Agnelli. Virginia, che a Torino è perseguitata dalle maldicenze e considerata una sorta di Messalina, a Forte dei Marmi può vivere liberamente la sua passione. Malaparte, innamorato di se stesso, dei soldi e della carriera,
più che delle donne, che anche sessualmente avvicina in modo scostante e poco focoso, tuttavia si fa prendere dalla fulva vedova Agnelli, la nuora di quell'uomo che l'ha cacciato su due piedi dalla "Stampa" per conflitti con l'amministratore delegato: «Malaparte, qui dentro ci sono i soldi della
liquidazione; li prenda e, per favore, mi restituisca la busta», gli aveva detto il senatore Giovanni, mettendogli in mano una buonuscita d'oro, un milione di lire, c'è chi dice tre. Chissà che ora, attraverso Virginia, non possa riavere il posto e il ruolo.
Si arriva a un passo dalle nozze nel duomo di Pisa, a un anno esatto dalla fine del lutto. Ma al senatore la liaison non piace. Sono mesi di battaglie legali, di figli trascinati da Roma a Torino, di scontri sulla competenza dei giudici, di episodi surreali come il "rapimento" di Gianni da parte del
precettore, di colpi bassi. Virginia, che a differenza di altre
aristocratiche non ha mai indossato una divisa ma che è la madre di sette ragazzi e per questo premiata dal regime, chiede udienza al Duce. E il Duce si schiera con lei, soprattutto contro la protervia di un industriale che a
Torino manovra i giudici e usa con spregiudicatezza persino i vertici dell'Ovra.
Il grande conflitto si chiude con un accordo tra suocero e nuora, favorito in particolare da Gianni, che mai smette di perorare la causa della madre. A lei rimangono i figli, ma deve rinunciare a Malaparte. Ha trentotto anni, è bella, sensuale, gli uomini le cadono ai piedi. In Costa Azzurra, dove tutti vanno in vacanza dopo la tregua col nonno, gira in bikini e prende il sole nuda. Raccontano che una sera del 1942, a tavola con un gruppo di amici, qualcuno le mostra una foto di Malaparte che esce dalla sauna coperto solo
da un ramo di betulla. «Si è invecchiato anche lui» commenta Virginia, alludendo con tenerezza all'antica intimità e prendendone insieme le distanze.
Come per Edoardo, Forte dei Marmi è la stazione di partenza e di arrivo dell'ultimo viaggio. VIrginia muore il 21 novembre 1945, a 46 anni, in un incidente di macchina tra Livorno e Pisa, nella pineta di San Rossore Migliarino, quando la Fiat 1500 su cui viaggia verso l'amata casa al mare si scontra con un camion miliare americano. Suo figlio Gianni è entrato nel
consiglio di amministrazione della Fiat, la sua nipotina Ira, l'unica che conoscerà, figlia della primogenita Clara e del principe Tassilo von Furstenberg, ha ormai cinque anni. L'anno prima, insieme al colonnello Eugen Dollman, il diplomatico che fa da intermediario tra le SS e Mussolini, ha
concertato "l'operazione Farnese", l'incontro tra papa Pio XII e il capo della polizia tedesca in Italia, Karl Wolff, per salvare la capitale.

Come nella battaglia contro il suocero, la farfalla ha rivelato forza, abilità e intelligenza. E come con grazia ha attraversato la vita, così è entrata nella storia.
twitter@boria_a

Virginia Agnelli 

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