venerdì 17 agosto 2012

IL LIBRO

Gianna Manzini: "Signore, non scegliete le cravatte"


                           La copertina del volume con gli scritti di Gianna Manzini, curato da Sarah Sivieri


È risaputo che le donne sbagliano sempre a scegliere le cravatte. Il perchè lo spiegava Guglielmo Battistoni, grande maestro dell'eleganza maschile, a Gianna Manzini, scrittrice e giornalista, che ne avrebbe fatto una delle sue sapide cronache di moda per la "Fiera letteraria", dove firmava come Vanessa.


Non si tratta di errori di gusto, perché le donne di gusto ne hanno da vendere, diceva Battistoni. «È che con questo amabile "laccio al collo" esse pretendono inconsciamente di modificare qualcosa nel carattere o nelle maniere del loro uomo; forse d'attenuare l'eterno conflitto del quale, del resto, hanno bisogno».


Corre il 1959 e Gianna Manzini, intellettuale raffinata e acuta osservatrice di costume, registra le tappe del lento cambiamento femminile, in una società che è anch'essa alla vigilia della svolta. Un uomo, attraverso la cravatta - annota nella sua rubrica - dà le proprie generalità ed è naturale che si ribelli a qualsiasi tentativo di contraffazione. «Ed è altrettanto naturale che la donna insista: "Giungesse a somigliarmi un pochino, appena appena...", si augura, zitta zitta, quando, acquistando cravatte, s'illude d'impossessarsi d'un talismano, d'una chiave di volta, forse d'un reagente».


Gianna Manzini è una delle preziose scrittrici del secolo scorso oggi scomparse da qualsiasi antologia e del tutto dimenticate, nonostante una produzione ricca e varia, cominciata nel 1928, quando pubblicò "Tempo innamorato", e culminata nel Premio Campiello del 1971, che si aggiudicò con "Ritratto in piedi". In cinquant'anni di attività letteraria, ha scritto libri e vinto premi (nel '56, anche il Viareggio per "La sparviera", ex aequo con Carlo Levi), ha firmato racconti su importanti riviste, ha ottenuto recensioni e apprezzamenti da Montale, Gadda, Contini e Carlo Bo, facendosi stimare da intellettuali e amanti delle belle lettere, mentre le loro mogli e amiche ne seguivano i consigli su abiti, accessori e sarti di grido sulle colonne del Mattino, di Oggi, della Fiera Letteraria, o alla radio, dove conduceva "La fiera delle vanità".


Perchè, dunque, dimenticata? Troppo colta e lontana dal grande pubblico, forse, concentrata molto su questioni letterarie. Troppo densa e difficile nella lettura, inevitabilmente "datata". 
Eppure anche lei, oggi, come altre giornaliste, croniste di costume, letterate accantonate (una per tutte: Irene Brin), è al centro di un'operazione di recupero, voluta dalla casa editrice Hacca e a cura di Sarah Sivieri (pagg. 225, euro 14). Il volumetto, che raccoglie pezzi di costume e moda inediti o sparsi su periodici, si intitola "Scacciata dal paradiso" e arriva in libreria dopo isolate ristampe delle opere più famose della Manzini negli anni Novanta, seguite, nel 2005, dalla raccolta di cronache "La moda di Vanessa", come si firmava, edita da Sellerio.

Diario, zibaldone, giornale, termometro interiore sempre tarato sul flusso esterno. Scacciata dal paradiso e cercando di recuperare una dimensione di bellezza, Gianna descrive, partecipa, sta dalla parte dell'emancipazione delle donne, ne vede le difficoltà e i chiaroscuri. E anticipa: il telefono, antenato dei social-network, che si appresta a cancellare il piacere, il mistero delle lettere e l'abitudine all'attesa, al punto che la stessa autrice, ricevendo un plico voluminoso, lo guarda con sospetto, come se volesse ricacciarla indietro negli anni (1972).


Dalla comunicazione, l'attenzione si sposta sul corpo e sulla bellezza. Un piccolo capolavoro il pezzo dedicato al ventaglio (1952), di cui la scrittrice, molti anni dopo averne ricevuto uno in dono per la primo comunione, rimasto intatto, scopre il potere seduttivo, accessorio con capacità di bisbigliare, chiedere e porgere al posto della donna, e si interroga sulla civetteria che diventa gioco d'azzardo (chissà cosa direbbe adesso, ai tempi delle olgettine...).
Elogia blandamente il rosso, il rosso-invettiva, il rosso gridante, che le signore adorano e gli uomini percepiscono come una specie di "minaccia", e si consola che il blu e il violetto siano stati banditi dalle unghie a favore di un rosa-saponetta o di un cenere di rosa, auspicando l'avvento - un'audacia nel 1940 - dello smalto incolore.
Acuta e profonda l'analisi delle dinamiche della coppia. Basta un "quanto zucchero?", la domanda da lui rivolta a lei sopra il caffè, nonostante gli anni di abitudine, perchè nella donna si scateni un uragano di recriminazioni e nell'uomo l'insopportazione della "memoria" che la moglie testardamente coltiva, di quando tutto, tra loro, era promessa e miraggio.


Scacciata dal paradiso, persa la posizione di Madame Bovary, Manon, Eugénie Grandet, non più al centro dell'attenzione del partner, la donna reagisce e, con un colpo di mano, diventa autrice. Ma non si tratta di opere nelle quali «sia diluito il residuo d'una lunga giornata», perchè sarebbe l'ennesimo tentativo di un dialogo smarrito nell'usura della vita a due. «No», scrive Gianna Manzini


«Le donne, nell'adoperare la penna, son diventate guerriere: hanno da combattere battaglie sociali; da vendicarsi; da denunciare (ecco la grande parola); da mettere avanti qualche alibi; e, soprattutto, da legittimare, nero su bianco, l'aspirazione alla loro libertà».
Correva il 1963. La civetteria non esiste più e il corpo femminile è spesso nemmeno gioco, ma tavolo del gioco d'azzardo. «I riflettori sono ormai per le stelle e per le dive, queste apparizioni, spesso magnificamente composite, a meraviglia fabbricate; queste viventi, talvolta miracolose opere d'arte», preconizzava Manzini. E rilanciava: «A noi resta, e non è poco, il vantaggio di una valorosa e riconosciuta serietà. L'attenzione che ci è stata sottratta la irradiamo generosamente; e, qualche volta, con profitto».
twitter@boria_a

Gianna Manzini (foto Archivio storico Arnoldo Mondadori editore)

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