sabato 2 luglio 2016

 L'INTERVISTA

Angela e Luca Missoni vestono l'Orfeo in Giappone


Angela Missoni, direttore creativo di Missoni
 



Avrà i colori di Missoni “Japan Orfeo”, l’opera basata sulla favola in musica di Monteverdi che celebrerà il 150° anniversario della firma del primo trattato d’amicizia e commercio tra l’Italia e il Giappone con quattro rappresentazioni, il 7 e 8 ottobre 2016 al tempio Tsurugaoka Hachimango a Kamakura e il 12 e 13 ottobre 2016 al Metropolitan Concert Hall di Tokyo. «È un progetto curioso, particolare, che intreccia linguaggi diversi», anticipa Angela Missoni, direttore artistico del brand, che lavorerà ai costumi insieme al fratello Luca.

Dopo Valentino per “Traviata” e Pierre Cardin per Dorian Gray (alla Fenice di Venezia il  6 e 7 agosto) anche i Missoni si misurano quest’anno con l’opera, in un evento che coinvolge compagnie di teatro e danza giapponesi, ballerini di pizzica salentina e interpreti italiani di punta del repertorio barocco, per la regia di Stefano Vizioli e la direzione d’orchestra di Aaron Carpenè.

«Abbiamo un lungo rapporto col Giappone - racconta Angela - siamo stati la prima azienda italiana moderna a portarci il prêt-à-porter a metà degli anni ’70. Un amico ci ha messo in contatto col regista e per una sinergia fortunata i tempi della nostra collezione maschile erano compatibili con la realizzazione dei costumi, che sono un adattamento dalla moda Missoni all’opera. Per me è anche una piacevole occasione di tornare a collaborare con mio fratello Luca nella creazione di abiti, non ci capita spesso».

Tra l’opera di Monteverdi, la mostra al Fashion and Textile Museum di Londra dedicata all’arte di Ottavio Missoni e il “Missoni Baia”, gigantesco complesso residenziale a Miami, (57 piani di appartamenti di lusso vista oceano) firmato dall’architetto Hani Rashid, di cui Angela, questa volta con la madre Rosita, cura gli interni (ed è la prima volta che l’azienda affronta un progetto residenziale), i Missoni attraversano un momento di grande effervescenza, su tanti fronti (www.missonibaia.com).

Ma cominciamo a parlare con Angela proprio dei costumi del Japan Orfeo. (leggi anche Missoni a Londra)

Come saranno? «Danzatori e danzatrici hanno bisogno di capi che consentano il movimento e riempiano la scena. In realtà sono pezzi dalla nostra collezione estate 2016, che funziona con lo spirito dell’opera. Ci saranno gonne ampie, camicie grandi, voluminose, tutte stampate con i nostri colori».


È la sua prima opera? «Sì, la prima. Nel 1983 fa mio padre e mio madre disegnarono i costumi per la “Lucia di Lammermoor” alla Scala. Mia figlia Margherita era appena nata, mi ricordo che la allattavo e andai nel camerino di Pavarotti».


Com’è stata accolta la mostra londinese sul rapporto di suo padre Ottavio con l’arte e gli artisti? «È un grande successo, con un numero di visitatori sorprendente. Siamo molto felici perchè lì gli spazi sono ridotti, la mostra è un concentrato di quella allestita nel 2015 al Ma*Ga di Gallarate. È stata una sofferenza dover scegliere la quarantina di capi da esporre, com’era stata una sofferenza scegliere i 100 di Gallarate. Ma è comunque una selezione esplicativa di un mondo di temi affrontati».


Trieste, la città che suo padre tanto amava, è rimasta orfana... «Queste mostre non sono state pensieri nostri. Il Ma*Ga e Londra ci hanno invitati. Anzi, ci farebbe piacere se un museo di Trieste mettesse a disposizione i suoi spazi».


E il prossimo anno anche lei festeggia... «Vent’anni alla direzione creativa dell’azienda. Ho già in testa un progetto ben chiaro. È un miracolo che Missoni abbia mantenuto sia un posizionamento sia un’immagine così pulita e precisa in un mondo globale della moda e del lusso che, in questo lasso di tempo, si è totalmente trasformato».


Pochi giorni fa un marchio di origine triestina come Curiel è stato comprato dai cinesi, Mila Schön è da tempo in mano ai giapponesi. Voi resistete... «Non abbiamo nè prospettive nè interessi di vendita. E, per il momento, neanche di quotazione in Borsa. In futuro vedremo, valuteremo che finanziamenti ci vogliono. Oggi non c’è alcun progetto in corsa».

Siete un brand familiare arrivato alla terza generazione in azienda. C’è un segreto in questa continuità, che non è affatto scontata? «Non conosco le altre realtà, di certo nella nostra c’è una passione comune per la moda che passa soprattutto attraverso la linea femminile della famiglia. Abbiamo una condivisione di gusto e visione pur tra generazioni e identità diverse. Tutti sentono proprio il progetto e lo stile. Il brand va oltre il valore di riferimento della famiglia. Sia chi lavora in azienda sia gli altri partecipano e si rendono utili per la nostra storia e il nostro marchio».




Angela Missoni con le figlie Margherita e Teresa e, sotto, con Margherita e la mamma Rosita


Nell’ultima collezione uomo avete presentato un tessuto di 83 colori diversi creato sui telai storici di Sumirago. La direttrice del Ma*Ga, Emma Zanella, dice che il vostro archivio è un museo d’impresa. Che valore ha per voi la memoria? «Un grande valore. Ogni pezzo di stoffa, ogni documento viene salvato. Abbiamo migliorato i sistemi di catalogazione e reso tutto il materiale più fruibile per noi. Adesso ci piacerebbe realizzare un museo Missoni, sarebbe fantastico aprirlo anche al pubblico, abbiamo tanto da condividere col mondo. Chissà, magari ci riusciremo». 


Suo padre Ottavio come vi ha trasmesso il legame con Trieste? «Mio padre era un personaggio in tanti sensi. Non ci ha fatto pesare la guerra nè le case perse in Dalmazia, non ha idolatrato i suoi anni sportivi. Ci ha sempre lasciati liberi. Raccontava, ma i suoi racconti erano fluidi. Per noi Trieste è un punto di memorie e di ricordi, ma non è di più. Le mie radici e la mia vita sono qua, a Sumirago, i miei figli e i miei nipoti vivono qui. Quando sento pronunciare Trieste il sorriso mi arriva fino alle orecchie, così come quando mangio (e cucino) jota o prosciutto cotto. Piazza Unità mi emoziona sempre, la Dalmazia mi dà la pelle d’oca. Mi fa piacere che in famiglia ci sia questa multiculturalità, che si sappia che arriviamo da lì. Questo è per noi Trieste: la città dell’accoglienza».


Verso cosa va la moda Missoni oggi? «Sono riuscita a mantenere il marchio dov’è guardando sempre avanti, al futuro, al mondo com’è. Non spulcio l’archivio, ho una memoria mia che custodisco, che sfrutto, che impregna il mio lavoro, ma senza voltarmi indietro. Può capitare di fare un omaggio a qualcosa, mai di ripetere il passato, è nella mia natura».


Per lei è stato difficile raccogliere un testimone così pesante? «Non so se all’epoca fossi più incosciente o coraggiosa, o le due cose insieme. Ma ero supportata, è stata mia madre a chiedermi di assumere il suo ruolo. Stavo facendo la mia collezione e lei mi disse: “Quello che fai è quello che vorrei Missoni fosse oggi”. Partire così è stata una bella sicurezza, la fiducia di essere sulla strada giusta. Mio padre si mise a disposizione. “Tu sai quello che so fare, sono al tuo servizio”. Sono stati tutti e due molto speciali. E poi sono cresciuta con grande libertà, con senso critico, ho le spalle larghe, mi prendo molte responsabilità e sopporto uno stress elevato senza perdere la trebisonda. Questo mix, è probabile, ha fatto sì che ci sia riuscita...»


Vent’anni non sono pochi. «È vero, mi rendo conto di essere ormai un’”anziana stilista”. In vent’anni è cambiato un mondo, oggi sicuramente la moda sono molti mestieri insieme. E la comunicazione ha un valore eccezionale, l’aggiornamento digitale l’ha cambiata completamente. In vent’anni ho visto un capovolgimento radicale, epocale, ho imparato un alfabeto nuovo».


Crede nei talent di moda? «Sì, certo. Oggi il mercato è più grande, la moda è un’industria importante a tutti i livelli, ha la capacità di assorbire tante persone. Non tutti diventeranno teste di serie, non tutti arriveranno sino in fondo, al vestito finito, ma potranno essere impegnati in altre sfaccettature dell’industria, ci sono molte parti tecniche che hanno bisogno di professionalità, ricami, tessuti... Servono anche occhi creativi, che hanno la freschezza del contatto col mondo. L’importante è entrare in azienda con una cultura della moda».


Lei che ricordo conserva di suo padre? «Mi accompagnava all’asilo, ero la più piccola, con me era molto affettuoso. Poi il periodo lunghissimo delle vacanze in Dalmazia. E il suo modo particolare di educarci, senza divieti. A tredici anni avevo cominciato a fumare e lui se n’era accorto. Non mi disse nulla. Un giorno eravamo in auto insieme, me lo ricordo come fosse adesso, ogni particolare, com’ero vestita, che borsa avevo. “Mi accendi un sigaretta?”, mi chiese semplicemente».


Che cosa le piacerebbe fare in un prossimo futuro? «C’è un libro che manca, un libro sui Missoni, su tutti noi. Nel 2017 sono anche i 64 anni del nostro marchio. Speriamo che questo progetto si finalizzi presto».

 twitter@boria_a

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