sabato 7 aprile 2018

IL LIBRO

 Quant'è dura la vita del libraio





Centomila volumi distribuiti su un chilometro e mezzo di scaffali. Libri e libri usati che riempiono fino all’inverosimile un labirinto di stanze e stanzette, dove si possono trovare testi come “Manuale per la determinazione del sesso nei pulcini di un giorno” o “Oro liquido. Scienza e sapienza del far crescere le piante con l’urina”. Non importa se piove dal tetto, se gli scatoloni si accumulano piuttosto che svuotarsi e se, in qualche giornata particolarmente nera, la conta dei clienti non supera la decina e gli incassi sono poche sterline: una libreria può essere il centro di un mondo meraviglioso, pieno di avventure e di grandi incontri. E il libraio uno straordinario catalogatore e conoscitore dell’animo umano.



Non fatevi ingannare dalla frequente citazione dei “Ricordi di libreria”, il breve saggio in cui George Orwell racconta la sua esperienza part-time, dal ’34 al ’36, al Booklover’s Corner, nel quartiere londinese di Hampstead. Nonostante concordi con lo scrittore soprattutto su un punto («molti dei nostri acquirenti appartenevano a quella categoria di persone che, pur essendo capaci di rendersi insopportabili ovunque, riescono a farlo particolarmente bene in una libreria»), Shaun Bythell, gestore del Book Shop tra le mille anime del villaggio scozzese di Wigtown, nel Galloway, è ben deciso a non dargliela vinta alle grandi catene o a cedere all’aggressività di Amazon.


Il kindle impallinato che campeggia nel negozio come un trofeo, la dice lunga sulla sua filosofia: i libri di carta sono un viaggio affascinante, anche se hanno la prerogativa di produrre polvere e attrarre mosconi moribondi. E i posti che si ostinano a venderli sono insostituibili, con buona pace di Orwell secondo cui calamitano «un sacco di pazzi non ufficialmente accertati che vagano per le strade e tendono a gravitare intorno alle librerie, rari posti in cui si può perdere tempo e ciondolare senza spendere un quattrino». La tipologia è cambiata, precisa Bythell, forse per il miglioramento del servizio sanitario: ora chi si aggira nella sua libreria senza uno scopo apparente, di solito aspetta che il meccanico o il farmacista lì vicino concludano una revisione o evadano la ricetta.

È un delizioso, ironico, agrodolce diario di bordo “Una vita da libraio” (Einaudi, pagg. 378, euro 19,00, con la poetica copertina disegnata da Jon McNaught), il resoconto quotidiano, dal 2014 al 2016, che Bythell scrive della vita nella sua rigatteria, registrando gli acquisti, le scoperte, le richieste stravaganti e disegnando un bestiario umano umanissimo. Bythell è anche uno degli organizzatori del Wigtown Book Festival, che richiama nel piccolo centro nel sud-ovest della Scozia migliaia di persone ogni anno, nonchè il fondatore del Random book club, il suo circolo del “libro a caso”, inventato in un momento di magra, ai cui membri, dietro modico abbonamento, invia mensilmente un volume a sua scelta. Insomma, dell’articolo che tratta, è innamorato profondamente, quasi “tattilmente”. Ciò non toglie che, quando nel suo primo mese da proprietario, nel novembre 2001, un anziano disperso nel reparto di storia marittima, lo apostrofò con un “Allora, quand’è che accende il falò? Mai vista tanta robaccia tutta insieme», la sua fiducia nel potere del libro, e nella sua scelta professionale, abbia fortemente vacillato.





Ci sono però le periodiche telefonate di Mrs Phillips, novantatreenne cieca, che continua a ordinare al negozio la serie di Babar per la pronipote, ignorando l’e-commerce. C’è il cliente abituale, Mr.Deacon, con le idee chiare e la buona abitudine di pagare all’acquisto. O il candido vecchietto che se ne esce con un «sto cercando un libro, ma non so il titolo. So com’è fatto, però. È molto vecchio». E poi il brivido della scoperta, davanti a ogni scatolone da aprire: un testo con la dedica di Florence Nightingale, un centinaio di lettere di condoglianze sciorinate dalle pagine, qualche raro gioiello, come una prima edizione di Ian Fleming con la sovraccoperta intatta. Storie piccole e grandi, come quel Decamerone ormai malconcio, l’ultima memoria di un immigrato italiano, che in altre mani troverà una nuova vita.


Un libro usato, ci dice Bythell, per chi lo vende e per chi lo compra, è come entrare nella vita degli altri. È un incontro con i gusti, le ossessioni, le debolezze e i desideri di uno sconosciuto, è condividerne sogni e percorsi. Anche i commenti a margine di una pagina, che Amazon demonizza, sono aggiunte affascinanti, sguardi nella mente di chi ha letto le stesse pagine. E quando capita di sgombrare le biblioteche di persone senza figli, il libraio sa di portarsi via quanto di più vicino ci possa essere a un’eredità genetica.


Con l’anticipo sull’edizione italiana del suo “diario”, intanto, Shaun ha riparato il tetto del negozio. E, a dispetto dei pochi soldi e dei tanti clienti petulanti o imbroglioni, abbiamo l’impressione che non voglia smettere. Lo prevedeva anche il disincantato Orwell: i colossi hanno schiacciato lattaio e droghiere, ma con il libraio indipendente non l’avranno vinta. In rete si naviga, un libro ci tiene ancorati per sempre.

@boria_a

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