giovedì 11 aprile 2019

LA MOSTRA

A Gorizia
dal baule griffato Vuitton
gli accessori
dei conti Coronini
influencer ante litteram 



Carmen Coronini Cronberg nel 1907

 
Francesco Coronini Cronberg nel 1920





Icona di moda ante litteram, il conte Francesco Coronini Cronberg. Guarda l’obiettivo del fotografo, con la mano guantata che regge il lungo bocchino, in una foto da studio degli anni Trenta. I guanti, accessorio indispensabile del gentiluomo, sono congeniali al profilo da dandy ventenne: li tiene in mano, in primo piano, in un’altra immagine in posa, il bastone da passeggio al braccio, in testa un Borsalino di feltro morbido. Li indossa per necessità, ma anche per civetteria, in pelle pesante dai polsi svasati, mentre addestra la sua aquila, quasi in dialogo con il dipinto “Ritratto di giovane con falcone”, della metà del XVII secolo, esposto nell’atrio del palazzo di famiglia.

L’eleganza nel dna. La madre di Francesco, contessa Olga, ultraottantenne negli anni Cinquanta, passeggiava per Gorizia al braccio della figlia Nicoletta, in impeccabile mise total black, guanti e cappello compresi, con un unico guizzo di bianco: lo jabot di pizzo Valenciennes appuntato sull’alto collo della blusa, secondo l’uso del secolo antecedente.
Immaginiamo di aprire il baule degli anni Settanta dell’Ottocento, raffinato complemento da viaggio della griffe Louis Vuitton e lasciamo uscire gli accessori degli ultimi discendenti della famiglia Coronini: ventagli, borsette, cappelli, guanti, scialli, merletti, fazzoletti, bastoni, tabacchiere e astucci laccati o smaltati, ovvero le “galanterie” che corredavano gli outfit di nobildonne e gentiluomini, carnet da ballo e la boccetta porta sali, in caso di svenimenti veri o di convenienza.



Baule di Vuitton, 1870, in pelle, legno e tela impermeabile, con coperchio piatto e non bombato (un'autentica novità)


Oltre centoquaranta pezzi compongono la mostra “L’indispensabile superfluo”, che si inaugura venerdì 12 aprile 2019, alle 17.30, a Palazzo Coronini Cronberg e sarà visitabile, tra scuderie e sale della dimora, in un percorso arricchito dai dipinti e dalle fotografie, fino al 10 novembre. Curata da Cristina Bragaglia Venuti, con un ricco catalogo (edito dalla Leg) che ospita anche l’intervento di Raffaella Sgubin, la prima storica dell’arte, la seconda storica della moda, la mostra racconta il dress code di una famiglia aristocratica e i vizi e vezzi di un’epoca, attraverso accessori che coprono un arco temporale che va dal ’600 - con una preziosa bordura da collo di merletto - a metà ’900.



Complementi, decori, “fronzoli” costituiscono il patrimonio glamour lasciato dal conte Guglielmo, fratello minore di Francesco e ultimo discendente, scomparso nel 1990: oggetti raccolti, conservati e tramandati tra le generazioni (i decori in pizzo, merletti, paillettes, vera e propria ossessione familiare, venivano certosinamente “staccati” dai vestiti e custoditi), perchè non soggetti all’usura del tempo come gli abiti, ma in grado di evocare con la stessa vividezza i gusti, le suggestioni, i riti sociali.


Il baule di  Louis Vuitton - all’epoca griffe del viaggio per eccellenza - è uno dei pezzi di maggiore pregio: in tela impermeabile e coperchio piatto (che favoriva il trasporto) è un’assoluta novità, un oggetto di tendenza. Come una borsa appartenuta a Carmen, sorella del conte Carlo, trasferitasi a Vienna agli inizi del Novecento per studiare medicina e rimasta a vivere nella capitale austriaca, dove esercitò da brillante anatomopatologa. Carmen morì nel 1968 e, priva di eredi, lasciò gioielli, arredi e opere d’arte al nipote Guglielmo, che li riportò a Gorizia insieme ad altri oggetti personali, tra i quali un’autentica chicca: la pochette realizzata dal dipartimento di moda della Wiener Werkstätte, innovativo laboratorio di design legato alla Secessione viennese.


Tra i pezzi più importanti, oltre una ventina, ci sono i ventagli, alcuni nelle scatole originali, dal XVIII al XIX secolo: Rococò, brisé, ossia con stecche rigide unite da un nastro, in neoclassico e neogotico, ventagli della prestigiosa manifattura parigina Alexandre, in pizzo o con piume di struzzo, strumenti di un codice di seduzione codificato nell’Ottocento da manuali e riviste di moda. E poi gli accessori in merletto - colli, colletti, polsini, fazzoletti, scialli e cuffie - che ripercorrono l’evoluzione degli ornamenti da collo, dalle rigide gorgiere testimoniate nei dipinti degli antenati, fino alla collezione di cravatte e papillon del conte Francesco. Al fratello Guglielmo, appassionato di Bidermeier, stavano invece a cuore gli scialli in cachemire, i cui esemplari in mostra provengono dai vari rami della famiglia, e i due mézzari genovesi, ampi scialli dai decori orientaleggianti, che il conte acquistò nel ’59 per esporli nella sua camera da letto e che ora sono stati restaurati e restituiti alla bellezza dei colori di fiori e animali, di ispirazione francese.



La pochette uscita dal laboratorio di design della Wiener Werkstatte


Ventaglio inglese d'avorio del 1790 circa. Nella tempera Coriolano con la madre e la moglie


Come indossare il cilindro, abbinato obbligatoriamente al frac, ce lo mostra ancora una volta il conte Francesco, immortalato in foto nel suo copricapo proveniente da un negozio di Trieste al matrimonio dei cugini Adamovich, negli anni ’50. Gli altri due esemplari di cilindri aprono altrettanti capitoli di storia della moda: il primo, con tanto di cappelliera, appartenuto al conte Oscar Cassini, vice ammiraglio della imperial-regia marina austriaca, uscì nella succursale berlinese del negozio di Preter e Carl Habig, fornitori della corte viennese; il secondo, della manifattura inglese Victor Jay e Co., fu acquistato a Vienna, da Joseph Prix, negozio cult per la moda maschile e anch’esso fornitore di corte.




E le signore? La contessa Olga e la figlia Nicoletta ordinavano i cappelli dalla goriziana Rosa Mungherli, che, nel momento di massimo successo, aveva ben dieci lavoranti. Alla morte della titolare, nel 1960, l’atelier passò alla figlia, “Rosuta”, amante del canto e poliglotta, che a sua volta rimase in affari fino al 1987. Rosa Mungherli vendeva modelli “basic”, adatti a ogni tasca, ed erano poi le clienti a personalizzare l’accessorio, in base all’estro e al censo, come faceva la regina Vittoria d’Inghilterra.

La più eccentrica, in fatto di cappelli, è però zia Carmen: nel 1907, giovanissima, sull’abito bordato di pizzo e vita di vespa, sfoggia un copricapo ornato di piume e grande fiore. Dieci anni dopo, nei tempi bui della guerra, sul cappotto dall’alto collo di pelliccia, il cappello è semplice, quasi maschile. Nel 1937 indossa una calottina con veletta e maliziosa punta conica alla Schiaparelli, su una camicetta chiusa da una farfallina maschile. Ancora, nel 1949, in una baita all’aperto, eccola in paglietta con visiera, da cui si alza un enorme fiocco. Carmen come il nipote Francesco, influencer prima di Instagram.

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