lunedì 12 settembre 2022

LA MOSTRA

 

La moda diventa desiderio

e i manifesti opere d'arte

nei paradisi delle signore 


Leopoldo Metlicovitz (Museo Nazionale Collezione Salce Treviso)


 In abito da sera sbracciato, con le pelliccia scivolata sulle spalle e la cloche calcata sui riccioli biondi, un’elegante dama seduta su un divano sfoglia un catalogo di figurini. Sorride a chi la guarda e invita a entrare nel paradiso delle signore, dove ogni desiderio potrà essere soddisfatto. È il manifesto disegnato nel marzo 1921 dal triestino Leopoldo Metlicovitz per la seconda inagurazione della Rinascente a Milano, dopo che un incendio divampato la notte di Natale del 1918 aveva distrutto i lussuosi grandi magazzini del conte Senatore Borletti, a due settimane appena dall’apertura in pompa magna nel giorno di Sant’Ambrogio. Anche in quell’occasione, sul manifesto che porta la firma del francese Achille Luciano Mauzan, disegnato nel 1917 per l’originaria apertura, protagonista è una signora con copricapo di piume bianche, scollatissima nell’abito da prima della Scala. Davanti a lei, ritratta di schiena e quasi in atto di devozione, una donna le porge un paio di chiavi appoggiate su un cuscino di velluto: è il passepartout dorato che spalanca un luogo di meraviglie.


«Più che oggetti vendo il desiderio» diceva Aristide Boucicaut, che, partendo da una bancarella di stole in rue du Bac a Parigi, riuscì a creare nel 1852 il Bon Marché, primo tempio dello shopping, il grande magazzino dove ogni donna può entrare liberamente e realizzare il suo sogno, senza confini di censo o di rango sociale, assistita dalle “signorine” in divisa nera, vestali della nascente democratizzazione della moda. Spazi scintillanti con una grande varietà di merci e di scelta, prezzi fissi ed esposti, la possibilità dei resi e il servizio della consegna a domicilio, le vetrine che funzionano da potente attrattore, e ancora le sale da tè, il cinematografo, l’intrattenimento e il parrucchiere, per prolungare la permanenza negli spazi commerciali: per la prima volta nel grande magazzino lo shopping diventava un’esperienza completa.
E per chi abita fuori dalla capitale, il desiderio viaggia tra le pagine dei cataloghi, che illustrano le nuove collezioni, le svendite, le strenne, le iniziative speciali come le “fiere del bianco”, cercando di riprodurre sulla carta, per la vendita per corrispondenza, l’atmosfera seduttiva degli ambienti.


Al Bon Marché seguono Printemps, Samaritaine, Galeries Lafayette con i primi ascensori. In Inghilterra aveva già aperto i battenti Harrods, oltreoceano era nato Macy’s, mentre in Italia i Grandi Magazzini dei fratelli Mele a Napoli e Alle Città d’Italia dei fratelli Bocconi, questi ultimi antesignani della Rinascente di Borletti, sono definiti nell’immaginario degli acquirenti dal superbo e inconfondibile tratto di Marcello Dudovich, un altro artista triestino tra i grandi del cartellonismo.

 

Leopoldo Metlicovitz, La Rinascente, 1921 (Museo nazionale Collezione Salce Treviso)

 


Si intitola “Moda e Pubblicità in Italia - 1850-1950” la mostra aperta sabato 10 settembre 2022 alla Fondazione Magnani-Rocca di Mamiano di Traversetolo (Parma), curata da Dario Cimorelli, Eugenia Paulicelli e Stefano Roffi, visitabile fino all’11 dicembre. Un percorso in centocinquanta opere - affiche, riviste, cataloghi, le immagini del cinema, e cento manifesti, la gran parte restaurati e mai esposti al pubblico - racconta gli anni in cui la moda entra nelle fantasie e nel desiderio collettivo, attraverso la pubblicità e il segno di illustratori come Metlicovitz, Dudovich, e ancora Mauzan, Adolfo Busi, Aldo Mazza, Domenico Lubatti, Filippo Omegna, Gino Boccasile, Achille Beltrame, Luciano Bonacini, Luigi Veronesi, Diego Santambrogio, Emilio Malerba, Gian Luciano Sormiani. Le opere in mostra provengono dal Museo Nazionale Collezione Salce di Treviso, dalla Civica Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli”-Castello Sforzesco di Milano, dal Museo e Real Bosco di Capodimonte.


È l’estate del 1897 quando Aleardo Villa, per i Magazzini Mele, disegna una signora in carrozza, con ombrellino e guanti, sigillata in un modello dalla gonna ampia e la vita stretta, per realizzare quella linea a S che tra poco lascerà il posto a tagli più morbidi. “Massimo buon mercato” promette lo slogan, ripetuto sul manifesto in cui la protagonista, seduta, si prova un lungo paio di guanti, le mani tese a rimirare l’effetto, davanti a molti altri modelli che escono da una scatola decorata. “I più grandi magazzini di mode e novità d’Italia” è lo strillo sul manifesto dell’Unione cooperativa Miccio & C di Napoli, firmato da Filippo Omegna, che nel 1910 affida il suo messaggio a una dama in abito da sera, con profondo scollo e stola di pelliccia, il piede calzato di nero che s’intravede e cattura lo sguardo dell’autista. Pochi anni dopo, nel 1914, il Calzaturificio di Varese sceglie Metlicovitz: la gonna dello sfolgorante tailleur rosso che indossa la sua donna seduta, risale leggermente lungo le gambe, a mostrare le scarpine nere con fibbia. Vent’anni dopo, nel ’34, Luciano Bonacini, per le Calze Ryon, mette in primo piano uno splendido paio di gambe incrociate e fasciate d’argento, mentre Gino Boccasile, per la primavera estate 1933 di S.P.E.R.A Unione Cooperativa di Milano esalta il fisico tonico delle sue modelle, l’una in costume intero, l’altra in gonna e top, come farà Dudovich nella comunicazione per la Rinascente degli anni Trenta.

 

Leopoldo Metlicovitz, 1914 (Collezione Salce)

 


Sui manifesti passano i cambiamenti del costume: la liberazione dai corsetti, l’accorciarsi delle gonne, i nuovi tagli “maschili” dei capelli, un linguaggio del corpo più disinvolto legato anche alla pratica sportiva, l’autarchia dei materiali nell’Italia fascista. Nei cartelloni che tappezzano le città la donna borghese, che compra nei nuovi grandi magazzini, si vede rappresentata e gratificata. È un momento di creatività senza precedenti e la comunicazione spinge i consumi, concorrendo alla nascita e alla crescita di una moda italiana, svincolata dalla sudditanza francese e, per l’abbigliamento maschile, da quella inglese.


Cartoline, cataloghi, ventaglietti e calendari offerti in regalo. Sono tante le strategie illustrate in mostra che i commercianti mettono in campo per fidelizzare la clientela, ma la guerra più raffinata, per grafica e stampa, si combatte sui muri, a suon di affissioni. Tra le trovate originali quelle dei fratelli Mele, sempre in spietata concorrenza con l’Unione Fabbriche Miccio & C., cui imputavano autentiche scopiazzature nella pubblicità. Per le consegne a domicilio i Magazzini Mele utilizzavano una carrozza trainata da due zebre, mentre per incuriosire la clientela assoldavano gruppi di nobili spiantati. “Preistorici” influencer da piazzare davanti alle vetrine, allora di vetro, oggi virtuali.

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