giovedì 22 giugno 2017

LA MOSTRA

Maria Teresa d'Austria, influencer di moda per i nobili di corte 



Anton von Maron (Vienna 1733-Roma, 1808; desunto da)
Ritratto di Maria Teresa in abiti vedovili
1765-1780
olio su tela (Civici Musei di Storia e Arte Trieste

 
Johann Gottfried Auerbach (Mühlhausen, Turingia 1697-Vienna 1743; copia da)
Ritratto dell'imperatrice Elisabetta Cristina di Brunswick Wolfenbüttel
1735-1740 (data dell'originale)
olio su tela- Civici Musei di Storia ed Arte Trieste



Chissà che cosa avrà pensato lo zar Pietro III di Russia nel vedersi confuso, per quasi centocinquant’anni, con Giuseppe II, figlio di Maria Teresa d’Austria. Nonostante le intricate consanguineità che nel Settecento legavano le corti d’Europa, i due non erano neppure lontani parenti. Eppure, nei ritratti delle collezioni dei Civici Musei di storia ed Arte di Trieste, l’infelice Pietro, che fu detronizzato dal potere e fatto uccidere dalla moglie, Caterina La Grande, è stato a lungo scambiato per il primo figlio maschio dell’imperatrice d’Austria.

Le mostre, però, a volte vanno anche al di là dell’obiettivo per cui vengono allestite. E certo “La necessità del lusso. Abiti di corte nei ritratti del Settecento dei Civici Musei di Storia ed Arte”, che si apre il 23 giugno 2017 al Museo Sartorio di Trieste (fino all’8 ottobre 2017), curata da Michela Messina, è servita anche a rendere giustizia al povero Pietro. Tutta colpa di un ordine cavalleresco non soppesato con attenzione, quando nel 1878 il ritratto venne acquisito dalle collezioni triestine.


Racconta Messina: «Come mai, ci siamo chiesti, il presunto Giuseppe II non portava il Toson D’Oro, ordine tipico degli Asburgo, ma l’ordine russo di Sant’Andrea, con la croce a forma di X? Vero è che gli strumenti iconografici a nostra disposizione sono oggi molto più ricchi rispetto all’Ottocento e che molte opere venivano acquisite dai musei con attribuizioni già errate o incerte». Questione di somiglianze tra teste coronate e di colori snobbati: rosso e d’oro il Tosone, azzurro l’ordine di Sant’Andrea. Così la mostra ha fatto giustizia allo sfortunato zar Pietro, che ha avuto l’onore di entrare nella galleria con la sua vera identità.



Aleksej PetrovičAntropov (San Pietroburgo1716-1795; desunto da)
Ritratto dello zar Pietro III
1755 ca. (data dell'originale)
olio su tela (Collezioni Civici Musei di Storia ed Arte Trieste)

E non è l’unico errore corretto, coinvolti ancora una volta i sovrani russi. Un pastello donato ai Musei, che si riteneva rappresentasse Maria Teresa e fosse firmato da Rosalba Carriera, ritrae in realtà Anna I di Russia (le due signore condividono in effetti tratti pronunciati e stazza significativa) e forse non è neppure della pittrice veneziana tirata in ballo. «La famiglia del donatore - spiega Messina - lo acquisì negli anni Trenta del Novecento, periodo in cui un ritratto di Maria Teresa d’Austria aveva sicuramente più appeal commerciale».


Sono tante le curiosità disseminate nelle tre sale in cui si articola la mostra, dove è esposta una trentina di ritratti (originali, copie coeve o un po’ più tarde) di membri della casa d’Austria e di nobili e borghesi italiani ed europei del Secolo dei Lumi. Tessuti, fogge, decorazioni, colori, gioielli aprono idealmente al visitatore le porte dei palazzi di corte, dove il lusso era appunto “necessario”, almeno quanto il potere politico e militare, per trasmettere ai sudditi il senso dell’autorità e della magnificenza del sovrano e per segnare visivamente le differenze di ruolo e gerarchia tra i nobili che lo circondavano. Codici che oggi dobbiamo interpretare, ma che all’epoca erano per chiunque, anche per chi la corte la guardava solo da lontano, di riconoscibilità immediata.


Nella prima sala, gli Asburgo: Leopoldo I, nonno di Maria Teresa, i genitori dell’imperatrice, Carlo VI ed Elisabetta Cristina (celebre per incarnato e bellezza, che trasferirà alla nipote Maria Antonietta), il suo predecessore Carlo VII di Baviera, i figli Giuseppe II, Leopoldo, la figlia Maria Elisabetta, rimasta single perchè deturpata dal vaiolo e perciò consolata dalla madre con la nomina a canonichessa delle badesse di Innsbruck.
Nella seconda sala si vedranno ritratti con decorazioni di ordini cavallereschi, che i sovrani europei, dall’inizio del XVIII secolo, assegnavano ai nobili più vicini, per creare un loro stretto e fedelissimo entourage, connotato anche da una sorta di “teatralità” decorativa e cromatica. Qui s'incontrano gli imperatori
Ferdinando e, con un salto di un secolo e mezzo, l’ultimo sovrano, Carlo I, che regnò dal 1916 al ’18, ritratto con il Toson d’oro come i suoi predecessori settecenteschi.


Johann Gottfried Auerbach (Mühlhausen, Turingia 1697-Vienna 1743; copia da)
Ritratto dell'imperatore Carlo VI
1735-1740 (data dell'originale)
olio su tela (Civici Musei Storia ed Arte Trieste)


Nell’ultima sala il visitatore ammirerà il ruolo da “influencer” degli Asburgo. Oltre due secoli prima del delirio imitativo suscitato dalle star di Instagram, nei ritratti dei nobili e dei borghesi in mostra si notano pose e abbiglimento simili a quelli dei membri di corte. Chi ci viveva, la frequentava o semplicemente la osservava, cercava di imitarne abiti e accessori e, dove possibile, non lesinava in pizzi e gioielli. Le donne si strizzavano in corpetti minuscoli su gonne volumizzate dai panier, gli uomini sfoggiavano l’abito a tre pezzi - giacca, gilet e pantaloni - di tessuti pregiati e bottoni preziosi.




Allan Ramsay (Edimburgo 1713-Dover 1784; attr.)

Ritratto di gentiluomo decorato con l'Ordine inglese della Giarrettiera
metà del XVIII sec.
olio su tela (Civici Musei di Storia ed Arte Trieste


Fu proprio Maria Teresa, col figlio Giuseppe II, a modernizzare e innovare l’abbigliamento maschile, non senza malumori e resistenze da parte dei nobili. L’abito di corte spagnolo, di velluto nero e intessuto d’oro, con cascate di pizzi, che s’ispirava allo splendore di Luigi XIV e della corte di Versailles, fu mandato in soffitta dalla sovrana a favore della divisa militare, cui i nobili si costrinsero loro malgrado considerandola una “diminutio” di rango. Le signore, al contrario, continuarono a prosperare nel lusso dei velluti e ad agghindarsi con perle barocche, simbolo dell’epoca, orecchini, collier e broche di brillanti. Lo sfarzo dell’abito mandava un messaggio preciso. Spreco di beni e spreco di tempo: poteva indossarlo solo chi aveva quantità sterminate di ricchezze e nessun fastidio di lavori manuali, fosse pure il semplice aprire il cancello del palazzo per salire in carrozza.


I colori? Dalla morte dell’amatissimo consorte Francesco Stefano di Lorena, nel 1765, Maria Teresa scelse il total black. Sacrificio solo cromatico, s’intende, perchè la foggia dell’abito spagnolo pretendeva comunque sperpero di tessuto e di sostanza. Non inganni il nero, colore simbolo di prestigio e autorevolezza. Fin dal ’500 tingere i tessuti di nero era procedura molto costosa, che inoltre consumava la fibra. La sovrana, come la figlia butterata Maria Elisabetta, vestiva dunque nel colore più caro e meno durevole, a significare le inesistenti ansie per il ricambio dell’impegnativo guardaroba.


Nella sala dedicata a nobili e borghesi sono esposti anche tre ritratti di togati veneziani, il provveditore di Zante, il provveditore dell’Istria e un medico, i cui “outfit” mandano ulteriori messaggi. Già dal ’500 chi esercitava determinate professioni nelle Repubbliche come Venezia e Genova, vestiva la toga o una sopravveste priva di elementi distintivi, perchè l’«uniforme» comunicava autorevolezza e compostezza, al riparo dai capricci della moda. Nobili e borghesi potevano invece guardare e sognare con la corte, emulandone lo stile.


Asburgo “inspirational”, diremmo oggi.

Scriveva Antonio Genovesi, economista napoletano di metà ’700, senza alcun intento moralistico, tutt’altro: «Il lusso è dunque una finezza di vivere per ambizione di distinguersi ... e quindi avviene che dove comincia il lusso non vi sia giammai termine che l'arresti». A tre secoli dalla nascita di Maria Teresa, potrebbe dirlo una fashionista contemporanea.
@boria_a

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