domenica 27 agosto 2017

IL LIBRO

 Tra cuore e amore, decide il cervello dove va la passione





Cuore e amore, la rima più scontata della canzone italiana, l’associazione immediata nei versi dei poeti. Ma è davvero il cuore l’organo più coinvolto quando ci si innamora? Gli studi più recenti delle neuroscienze smentiscono e spostano più in su il centro dei nostri turbamenti sentimentali. È il cervello, con le componenti chimiche che scatena, l’organo determinante nella mescolanza di stati emotivi delle storie d’amore, dalla fase del colpo di fulmine, al consolidamento del rapporto, all’evenutale rottura col partner. L’aveva capito Voltaire, secondo cui «l’amore è di tutte le passioni la più forte perchè attacca contemporaneamente la testa, il cuore, il corpo». Insomma, a costo di perdere un po’ di poesia, bisogna fare i conti con la biologia per capire che cosa accade nella psiche e nel corpo quando amiamo. 

Ce lo racconta Grazia Attili, psicologa evoluzionista e docente di Psicologia sociale alla Sapienza di Roma, nel saggio “Il cervello in amore. Le donne e gli uomini ai tempi delle neuroscienze” (Il Mulino, pagg. 230 euro 16), uno studio rigoroso sulle ragioni biologiche del come e perchè ci amiamo, con divertenti e impreviste incursioni nel cinema, nella musica, nella letteratura.


Professoressa Attili, rivalutiamo il cervello in amore? «Nei romanzi d’amore o nelle canzonette quando si parla d’amore si parla dei battiti del cuore. E noi stessi quando amiamo diciamo che ci batte forte il cuore. In effetti, come provano le neuroscienze, le nostre emozioni o i nostri comportamenti sono dovuti all’attivazione di particolari aree del cervello e a dei neurotrasmettitori, a neuro ormoni che vengono rilasciati nelle varie fasi del percorso che caratterizza la formazione e la costruzione di un legame di coppia. Pensiamo all’amore come a un “processo di attaccamento”, che si forma attraverso trasformazioni continue, caratterizzate dal coinvolgimento di aree cerebrali specifiche e da reazioni chimiche diverse». 



Grazia Attili


“Quell’odore che tu hai, io lo so per me son guai” cantavano le Sorelle Bandiera. È vero che c’è un rapporto tra attrazione e odore? «Uno dei fattori che influenza l’attrazione per un’altra persona è proprio il suo odore. L’odore di un individuo è importante perché rivela le caratteristiche del suo sistema immunitario. In maniera inconsapevole siamo attratti da persone il cui odore “ci dice” che sono “portatori” di un sistema immunitario diverso dal nostro. Noi, infatti, scegliamo il partner sulla base della possibilità che esso ci aiuti in un nostro programma di derivazione evoluzionistica: cercare di lasciare le nostre caratteristiche nei figli e nei figli dei nostri figli. Se un eventuale partner ha un sistema immunitario diverso dal nostro, i nostri figli saranno più forti, faranno a loro volta figli forti perché erediteranno le difese di entrambi i genitori. In questo senso “gli opposti si attraggono”».


Quando scocca la scintilla più che di “chimica” allora è questione di “sostanze chimiche” che entrano in circolo. Come funziona? «Quando una persona ci attrae si attiva una area del cervello che produce dopamina, un neurotrasmettitore che ci fa sentire su di giri, in uno stato di continua eccitazione. Le nostre pupille si dilatano e la dilatazione della pupilla produce attrazione a sua volta. È un meccanismo fisiologico incontrollabile. Ecco fatto: colpo di fulmine».


Passione d’amore come droga? «”La mia droga si chiama Julie” è il titolo di un bel film di Truffaut. Quando ci si ritrova in quello stato alterato che è la passione è come se si fosse dopati. Il cervello rilascia dopamina e il partner viene continuamente cercato per provare di continuo quell’eccitazione. Esattamente come accade ai cocainomani che hanno bisogno di dosi costanti e sempre maggiori per stare bene».


Però il cervello innamorato perde anche un po’ di lucidità. È vero che ci sono proprio delle “aree” che si spengono? «Sì, nella fase iniziale di una storia d’amore le zone frontali del cervello, quelle deputate al ragionamento, al giudizio, all’inibizione di risposte irrilevanti, non si attivano. Woody Allen diceva: “È molto difficile mettere d’accordo cuore e cervello. Pensa che nel mio caso non si rivolgono nemmeno la parola”».


Di solito associamo l’ossitocina all’induzione del parto. Mentre ha un ruolo anche nel passaggio a un legame duraturo. «L’ossitocina è l’ormone dell’amore. Viene prodotta anche durante l’allattamento, ma viene rilasciata tutte le volte che manteniamo il contatto con qualcuno. E produce un tale piacere e un tale senso di rilassatezza che spinge a mantenere un legame affettivo con la persona che abbracciamo di frequente. Il contatto sessuale, il piacere dell’orgasmo sono potenziati dall’ossitocina, la quale tuttavia spinge a mantenere il contatto fisico, a farsi le coccole, così che la relazione diventa una relazione d’amore».


Fedeltà e infedeltà sono regolate dai geni? «Monogamia o promiscuità sono l’esito dell’intreccio di molti fattori. Alcune varianti di alcuni geni possono avere un peso, a livello individuale. Ma contano anche le modalità di accudimento materne di cui si è fatta esperienza da piccoli con le caratteristiche di personalità cui danno esito, il tipo di ambiente in cui si vive».
Cosa avviene nel nostro cervello quando un rapporto finisce?
«Dire “mi si è spezzato il cuore” è più di una metafora. Quando veniamo abbandonati si attivano le stesse aree del cervello che si attivano quando proviamo un dolore fisico, quando ci provochiamo una scottatura. Inoltre si verifica nel cervello un calo di oppioidi e quindi sentiamo un dolore straziante». 


Lei sostiene che «l’amore è l’effetto collaterale del raggiungimento della posizione eretta». Ovvero ci siamo evoluti sugli animali a prezzo di farci tiranneggiare dai sentimenti? «È il prezzo inevitabile da pagare se vogliamo diventare ”immortali”. L’amore è “comparso” perché produciamo una prole immatura per tempi lunghi, la quale, per poter sopravvivere, richiede un investimento forte non solo da parte di una madre ma anche di un padre. Se un uomo e una donna vogliono lasciare le loro caratteristiche nei figli e nei figli dei figli, così che dopo la loro morte parti di sè (il colore degli occhi, i propri valori) siano presenti nelle generazioni successive, devono saper formare un legame d’amore ed essere disposti a soffrire pur di mantenerlo. Certo, l’amore è sganciato ormai dal desiderio di avere progenie, ma la spinta a formare un legame deriva dalla nostra evoluzione biologica».


In amore il cervello delle donne e degli uomini funziona in modo diverso? «Certo, e non solo in amore. Ai primordi della nostra specie le donne potevano lasciare le loro caratteristiche se si prendevano cura dei figli, se riuscivano a mantenere legato un partner che le aiutasse in questo compito gravoso. Quindi utilizzano di più il sistema delle emozioni, sanno riconoscere meglio i segnali non verbali, producono più ossitocina e di conseguenza mantengono di più i legami affettivi. Gli uomini sono maggiormente centrati sulla sessualità. La parte del cervello che reagisce agli ormoni sessuali è due volte e mezzo più grande nei maschi che nelle femmine. Copulando con molte femmine i maschi avevano maggiori probabilità di replicazione genica».


Come potremmo tradurre “sono pazzo di te” nel linguaggio delle neuroscienze? «Quando ti vedo o ti sento si attiva il mio sistema dopaminergico della ricompensa e sono travolto dalla dopamina che mi fa sentire in preda a una follia. Sono travolto anche dalla feniletilamina, che mi produce scariche di adrenalina. Potrei mangiare cioccolata per avere reazioni simili. Ma tu sei molto di più di una tazza di cacao».

@boria_a

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