lunedì 13 novembre 2017

IL LIBRO

 Due anime nelle notti di Marsiglia




«Nella vera notte buia dell’anima sono sempre le tre del mattino». Le parole di Scott Fitzgerald fanno da guida a un padre e un figlio che non si sono mai conosciuti davvero. E che trovano un’inaspettata, straordinaria occasione di farlo a Marsiglia, lontano da casa e dai loro rispettivi ruoli, quando la città da esplorare, la necessità di stare svegli, l’intimità del buio, li spinge, prima con la timidezza di chi procede a tentoni, poi sempre più fiduciosi, come su un terreno noto ma dimenticato, ad aprirsi il cuore. A conoscersi, dunque, e a riconoscersi, prima che sia troppo tardi.

Si chiama “prova da scatenamento”, una procedura oggi bandita dalla deontologia medica, ma che nei primi anni ’80, quand’è ambientato l’ultimo libro di Gianrico Carofiglio, “Le tre del mattino” (Einaudi, pagg. 165, euro 16,50), ancora si utilizzava. Chi deve affrontarla è il liceale Antonio, che soffre fin da bambino di una forma di epilessia idiopatica, di cui cioè non si conosce la causa. La malattia è stata tenuta sotto controllo grazie ai farmaci e alle terapie di un luminare, il professor Henri Gastaut di Marsiglia che, prima di dichiarare Antonio guarito, decide di sottoporlo allo “scatenamento”: due giorni e due notti senza sonno e senza le sue quotidiane medicine, con l’unico obbligo di una pasticca ogni otto ore, presumibilmente anfetamina, per evitare di dormire.



Gianrico Carofiglio


È da anni che col padre, docente di matematica all’Università, Antonio non trascorre ininterrottamente un tempo così lungo. Da quando i genitori si separarono e nella sua testa confusa di bambino assegnò le rispettive colpe: il padre sicuramente scappato con una studentessa, come un suo collega, la madre troppo arrendevole e civile nell’accettare la situazione.


Comincia così, nella sconosciuta Marsiglia, un breve, progressivo e profondo incontro tra due anime che si svelano con pudore e, man mano che le ore passano, si scoprono assetate l’una dell’altra e del tempo comune perso. Un bambino va a trovare il padre nel suo ufficio all’ateneo: lo scopre angusto - ma come? lui, che ha contatti con scienziati importanti del mondo - e ne rimane deluso. Il padre ricorda quel lontano episodio, Antonio si sorprende, capisce quanto poco sappia del genitore che ora gli cammina al fianco, con cui beve vino e va per locali, a far trascorrere la lunga veglia forzata («forse, semplicemente, notavo quello che diceva e il modo in cui lo diceva, dunque mi sembrava di scoprire qualcosa che in realtà era sempre stato lì...»).


Conoscenza reciproca, che per il più giovane è una sorta di iniziazione (il bicchiere di rosso non annacquato, il negozio porno, l’amore completo) ma prima ancora un’alfabetizzazione affettiva. Nel locale jazz dove entrano in quell’interminabile notte-giorno-notte, il pianista invita qualcuno del pubblico a prendere il suo posto e il professore, spinto da Antonio, («sarei contento di sentirti suonare...»), vince le sue titubanze e accetta. Davanti agli occhi del ragazzo, l’uomo diventa un’altra persona («era tutto così estraneo alla mia immagine di lui, così misterioso»), come diverso gli è parso fin da subito il suo linguaggio, che si misura con i passi di un’intimità più profonda. Alla fine Antonio applaude. «Continuai a farlo finchè non fui sicuro che mi avesse visto, perchè cominciavo a capire che esistono gli equivoci e non volevo che ce ne fossero in quel momento».


Negli anni a venire Antonio avrebbe ascoltato tanta musica e appreso termini di cui allora non sapeva nulla. Ma «tutto quello - poco o molto - che capisco davvero del jazz lo imparai quella notte». Sul palco, nel buio, non ha mai visto così chiaramente suo padre, vulnerabile e scoperto, col suo talento ormai alle spalle, come quella donna elusiva e bellissima, sua madre, mai sostituita.


Il romanzo si legge d’un fiato e d’un fiato passano le quarantott’ore di educazione sentimentale, anche se spesso il registro sussurrato si inceppa in dialoghi senza spontaneità, troppo pedagogici per essere convincenti fino in fondo (gli aneddoti sui matematici, le spiegazioni musicali, date ed etimologie di verbi, il resoconto della “prima volta”...): scambi da docente a discente, più che da padre a figlio con abissi di estraneità da recuperare.


Uno studio all’Università, la frase di un matematico scritta sul muro: Antonio adulto è tornato dove andò bambino a trovare il padre. Perchè in quelle confuse e tese nottate marsigliesi, ormai lontane, in lui ha conosciuto, o riconosciuto, anche se stesso.

@boria_a

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