sabato 23 giugno 2018

IL LIBRO

 Il bambino che cerca il coma etilico







Le fedeltà invisibili sono lacci che ci legano agli altri, a volte fino a strangolarci. Quelle che un bambino sente verso i genitori separati e che lo spingono a difenderli da loro stessi, a evitare che si sbranino per lui. Quelle che un amico nutre per il suo compagno di banco, di cui intuisce l’abisso di dolore e di smarrimento e lo rispetta col silenzio. Quelle di una donna verso il padre che l’ha maltrattata da bambina, togliendole per sempre una parte di sè. Patti d’amore e di lealtà nei confronti di chi amiamo o abbiamo amato, spinti al limite, fino all’autodistruzione.





È una fedeltà invisibile quella che Théo, dodici anni, prova per i due nemici che lo hanno messo al mondo, da cui vive a settimane alterne. Suo padre è un uomo alla deriva: lasciato dalla nuova compagna, scaricato dalla sua azienda, si lascia morire dentro un pigiama sporco in un appartamento buio e puzzolente, tra i cartoni del cibo. Sua madre è intossicata dal risentimento per l’ex marito e ogni volta che il bambino rientra a casa lo tiene a distanza, evita di guardarlo, tutta concentrata nello sforzo di riammettere nel suo spazio il figlio tornato da un territorio ostile e contaminato, di cui bisogna cancellare ogni traccia.


Come si può smettere di amare i genitori, come si può strapparli dalla propria vita, per quanto fragili, egoisti, anafettivi siano? Théo non ci riesce, fedele a quel patto che gli suggerisce quando tacere, mentire, fare la faccia neutra o recitare per non ferirli, per non offrire argomenti a nuovi scontri e rivendicazioni. Un peso insopportabile, che si può annullare solo stordendosi.
Théo beve superalcolici. A scuola, in un nascondiglio che condivide con il coetaneo Mathis. Ogni giorno il livello della bottiglia scende un po’ di più, ogni giorno bisogna rubacchiare in casa per procurarsi, in un negozio che non fa domande, vodka, rum, whisky. Per Mathis, ammirato e un po’ succube, è solo un gioco clandestino, per Théo un piano lucido, da portare fino in fondo: «Si chiama coma etilico. Gli piacciono queste due parole, il loro suono, la loro promessa: un momento di scomparsa, di eclissi, in cui non devi più niente a nessuno». La madre di Mathis, Cécile, vorrebbe interrompere il legame tra i bambini, che avverte pericoloso, ma la sua attenzione è risucchiata da altro: quel marito che le fa pesare la sua inferiorità sociale, ha una seconda vita in Internet, profili multipli dietro cui scarica la sua aggressività.


È un’altra solitudine a intuire da subito quella di Théo. Hélène, l’insegnante di scienze, non si fa ingannare dalla lentezza dei movimenti, dallo sguardo che sfugge quello degli altri, dallo sforzo di rendersi trasparente. Riesce a vedere le ferite del bambino sotto i vestiti, anche se l’infermiera della scuola ha detto che sul corpo non ha un graffio. «Non c’era nulla. Peccato che io le botte le ho prese e non mi fregano». Hélène non può avere figli perchè suo padre da bambina l’ha presa a calci fino a provocarle un’infezione, ma anche lei non ha parlato nè chiesto aiuto, proprio come Théo. «So che i figli proteggono i loro genitori e so quale patto di silenzio li porti a volte fino alla morte». Ma l’insegnante è isolata, i colleghi minimizzano, come se la sua sia solo un’ossessione malsana per l’alunno.


“Le fedeltà invisibili” di Delphine de Vigan - quinto romanzo della scrittrice francese e primo pubblicato da Einaudi, pagg. 134, euro 17,00 - stringe lo stomaco in una morsa. Lucido e teso fino all’ultima riga, scarnifica il lettore. Bambini che coprono i cedimenti dei genitori, determinati a difenderli, ad assumere su di sè i loro problemi, a costo di uccidersi. Adulti che annaspano dietro un paravento di normalità. O che sentono di dover restituire qualcosa alla loro infanzia violata, come Hélène che ha deciso che la “fedeltà invisibile” non debba più annientare nessuno. «A volte penso che diventare adulti non serva a nient’altro che a questo: riparare le perdite e i danni originari. E mantenere le promesse del bambino che siamo stati».


Il finale è sospeso, non consolatorio, ogni esito è possibile. E ci interroga nel profondo sul nostro essere genitori e figli. Perchè a ognuno è capitato, in entrambi i ruoli, di pensare che un legame così stretto vada protetto da ogni intrusione esterna, che ogni richiesta d’aiuto sia un tradimento. E il prezzo da pagare dura una vita.


Nessun commento:

Posta un commento