sabato 9 giugno 2018

IL LIBRO

Il cold case del burattinaio Dicker 





Dopo vent’anni un sanguinoso caso di cronaca viene riaperto. E la verità che sembrava giudizialmente cristallina si disintegra, mandando migliaia di pezzi a conficcarsi nella vita senza scossoni di una cittadina balneare sull’oceano, dove nulla, e nessuno, sarà più come prima. Era il 30 giugno 1994 quando nell’immaginaria Orphea, collocata nello Stato di New York, mentre si sta per inaugurare la prima edizione del festival teatrale, vengono freddati nella loro casa, a colpi di pistola, il sindaco, sua moglie e il loro figlioletto. All’esterno, un altro cadavere: una ragazza in tenuta da jogging è stata uccisa con la stessa arma, forse per aver visto l’assassino. Il caso viene affidato a due giovani e promettenti agenti, Jesse Rosenberg e Derek Scott, i primi ad arrivare sul posto, che conducono le indagini con solerzia e inchiodano il colpevole, un ricco ristoratore della zona. In galera non ci arriva: muore in un incidente durante l’inchiesta.

Siamo nel 2014, ancora una volta in prossimità dell’apertura del festival, e Jesse, diventato capitano (anzi, il capitano 100%, che non fallisce un’indagine...), sta festeggiando con i colleghi il suo prossimo pensionamento. È allora che Stephanie Mailer, una giovane giornalista imbucatasi al ricevimento, gli si avvicina e, brandendo un ritaglio di giornale, lo apostrofa con studiata malizia: «Nel 1994 ha sbagliato colpevole. Mi sembrava giusto che lo sapesse prima di lasciare il corpo». Il poliziotto e la cronista si incontreranno quell’unica volta, perchè nello stesso giorno Stephanie sparirà nel nulla.


Joël Dicker è tornato, e alla grande. Chi si è lasciato catturare e travolgere da “La verità sul caso Harry Quebert” (2012, Bompiani), best seller da sei milioni di copie, tradotto in 33 lingue, proverà ora la stessa ansia di arrivare all’ultima riga di “La scomparsa di Stephanie Mailer” (La Nave di Teseo, pagg. 708, euro 22,00), il suo nuovo, fluviale e intricatissimo giallo. Perchè al termine di ogni capitolo lo scrittore svizzero, con sbalorditiva abilità, apre un altro fronte, lascia una risposta in sospeso, getta un indizio, smantella una certezza, incastra una coincidenza, trascinando il lettore avanti e indietro dal 1994 al 2014, tra vecchie indagini e nuovi indizi, giù giù fino in fondo nelle vicende e nella personalità dei tanti personaggi, tutti cesellati eppure pieni di ombre, sempre alla fine sfuggenti. Con un espediente narrativo che sfaccetta ancor di più la trama, lasciando la prima persona solo alle voci degli investigatori Jesse e Derek, che sembrano così sovrastare il fruscio dei sospetti, delle rivelazioni, delle mezze parole in cui è avviluppata l’anonima esistenza di Orphea, un cellophane trasparente e asfittico, sotto cui si nascondono e si proteggono reciproci segreti.





La vera protagonista, in questo che è un grandioso thriller corale, è proprio l’opaca cittadina di provincia e il suo festival teatrale, evento di richiamo turistico e quindi di guadagno, ma anche palcoscenico per piccole e grandi vanità, occasione per realizzare un sogno o colpire a tradimento. Intorno a “La notte buia”, lo squinternato copione che l’ex comandante della polizia della città Kirk Harvey, vuol mettere in scena al festival del 2014, riscattando la figuraccia di vent’anni prima, quando lo spettacolo fu cancellato dal sindaco ucciso, si affollano i sospetti: il nuovo primo cittadino, Alan Brown, che prontamente, forse troppo, prese il posto del defunto, e sua moglie Charlotte, veterinaria e attrice di talento; il direttore del “New York Literary Magazine” Steven Bergdorf e la sua bella e avida amante Alice, il manager televisivo newyorkese Jerry Eden e la figlia Dakota, tossica e infelice, l’ambiguo critico teatrale Meta Ostrovski, che, insieme agli altri, ha trovato in Orphea un comodo riparo.


Tutti, a cominciare da Jesse e Derek, hanno un passato da cui fuggire e fantasmi da disseppellire, come gli indizi tralasciati nell’indagine, che continuano a seminare morte. La verità, dice Stephanie a Jesse Rosenberg nel loro primo e ultimo incontro, era sotto i suoi occhi, ma lui non ha saputo vederla.

Magistrale burattinaio, Dicker tiene alta la suspense fino alla fine, districando tutti i fili, solo in apparenza lasciati penzolare a vuoto lungo la trama. La notte buia, sembra suggerirci l’autore, non è solo quella della mano omicida, ma è il lato oscuro custodito in ognuno di noi, dissimulato nel tran tran quotidiano, dietro la facciata, che, in circostanze favorevoli, viene a galla e deflagra. Lasciando tutti, lettori compresi, senza fiato.

@boria_a

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