venerdì 1 novembre 2019

IL LIBRO

Fuani Marino: Un sacco cade dal quarto piano
ero io, ma non sono morta 





Come può una giovane mamma spiegare alla figlia bambina che ha tentato di ammazzarsi, quando lei era appena nata? Che da mesi valutava le altezze da cui buttarsi, in cerca di un punto la cui distanza dal suolo le assicurasse la morte? Che non aveva paura, lassù, seduta su quella terrazza, perchè nulla avrebbe potuto essere più brutto di quanto aveva già passato e il volo era solo un mezzo per raggiungere l’obiettivo: la fine. La sua fine.

Fuani Marino ha scelto la sincerità. Il racconto scomodo, doloroso, urticante della malattia mentale e dei pregiudizi che ancora la circondano, la paura dello stigma che, in un malinteso amore e desiderio di protezione, ha spinto la sua stessa famiglia a negarle quello che veramente desiderava: essere ricoverata. Liberarsi dalla pressione, dalle aspettative degli altri, dallo smarrimento, da quel buco nero che scava l’anima e succhia le energie, ritrovare i puntelli dopo lo sconquasso della maternità, per poter ritornare là fuori, in equilibrio, a camminare.


Questo racconto senza sconti e senza pietismi, lucido, secco, perfino ironico, è diventato un libro, tra biografia e memoir, “Svegliami a mezzanotte” (Einaudi, pagg. 149, euro 17). Per Greta, che aveva quattro mesi quel giorno d’estate, al ritorno dalla spiaggia: “Ti diranno - le scrive nella lettera finale - che tua madre è pazza, un’egoista, tu stessa avrai una moltitudine di cose di cui accusarmi, e a ragione. Ma ecco quello che non dovrai mai pensare; che io non ti abbia amata, o di avere una qualche responsabilità, o ancora che possa capitarti qualcosa di simile. Perchè ogni persona ha la sua storia».



Fuani Marino nella foto di Danilo Donzelli


Una laurea in psicologia, collaboratrice delle pagine culturali del Corriere del Mezzogiorno, Fuani, napoletana, ha un segno del destino scritto nel nome, l’unione di quello dei genitori, Furio e Anita, stranezza che la condanna, fin da piccola, a continue spiegazioni e al senso della diversità. Alla confusione dell’adolescenza, segue lo spaesamento, l’infelicità degli anni universitari a Roma. Poi il master e il matrimonio con Riccardo, forse la ricerca di un rifugio, che la introduce in una famiglia facoltosa, ma dal rigido galateo, per cui non è la nuora sognata. La responsabilità di una casa enorme, contratti da precaria in redazione, con interminabili e ripetitivi turni di desk, una stanchezza insostenibile, il sonno che si spezza e le ondate d’ansia che paralizzano e bloccano il respiro. «Più mi rendevo conto che mi stava accadendo qualcosa, che non ero completamente padrona delle mie reazioni, e più cresceva il panico».


Arrivano gli psicofarmaci, l’incontro col primo di tanti psichiatri, la difficoltà dell’ultimo periodo della gravidanza, il parto precoce, le piccole cure della bimba che si trasformano in sfibranti prove di resistenza, la depressione. E la diagnosi: disturbo bipolare. Medici e familiari temporeggiano sull’ospedale per non consegnarla all’etichetta di malata di mente. «Cosa che io ero già, anche senza ricovero, e stava per costarmi la vita».


Il 26 luglio 2012, a Pescara, la signora Nuccia del secondo piano vede precipitare al suolo un sacco nero. “E poi sono caduta, ma non sono morta”, scrive Fuani Marino in una pagina bianca del libro. C’è stato un “prima” e da lì comincia il “dopo” di quello che i familiari chiamano pudicamente “l’incidente”. Mesi tra la vita e la morte, gli interventi, la gabbia dei ferri, un braccio leso, una mano, la sinistra - e Fuani è mancina - che non sarà più la stessa, come la sua grafia. “Lei è una ferita vivente” le dice un neurochirurgo. 


E con il corpo, c’è da ricostruire una normalità, che passa attraverso il riconoscimento della malattia, con le sue fasi di iperattività e i periodi di depressione, l’aggressività e gli orari sballati (“l’ora che preferisco è la mezzanotte”) i giorni cortissimi e quelli in cui «il letto mi risucchia, come sabbie mobili», il rapporto con la bambina, l’accettazione che non ci sarà più un lavoro, un altro figlio. La terribile fatica di “ridefinire” se stessa: «Il mio lutto ero io».


In questo faccia a faccia, onesto fino a essere disturbante, Fuani Marino coinvolge romanzi, saggi, film, scrittori, che l’hanno affiancata nel tentativo di far luce sul disagio mentale e sui pregiudizi che ancora, a quarant’anni dalla morte di Basaglia, lo circondano. Sulla solitudine del suicida, sull’impronunciabilità del suo gesto. Consapevole che, se non rivive più di notte quell’infinita caduta, la lotta per convivere con se stessa non finirà mai.

@boria_a

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