lunedì 4 novembre 2019

MODA & MODI

La concorrenza dell'influencer che non esiste


Lil Miquela


 Lil Miquela, spruzzata di lentiggini e labbra carnose, una diciannovenne americana tuttasalute con frangia e piccoli chignon laterali, che posta i suoi look e condivide nobili cause, come quella per i diritti degli afroamericani: su Instagram ha un milione e settecentomila follower e vanta importanti collaborazioni con i brand della moda.

Aprite la sua pagina e fissatela a lungo negli occhi. C’è qualcosa che disturba, forse le sue pose così plastiche, forse quegli occhi sgranati dov’è impossibile andare a fondo, forse la mancanza assoluta di empatia quando si fotografa accanto ad altri esseri umani, che tocca e abbraccia, ma da cui sembra sideralmente distante. Cosa c’è che non va? Niente. Lil Miquela non esiste, se non in Rete, è un avatar generato dal computer.

Aprite un’altra pagina Instagram. Ecco Shudu, 191mila follower, nera statuaria che si dichiara la prima supermodel digitale del mondo, immortalata sui red carpet, anche lei testimonial di marchi del lusso. Per niente umanizzata ma ancora più popolare è la parigina Noonoouri, un fumetto mignon il cui passaporto Instagram è tutto un manifesto: attivista, vegana, contraria alle pellicce. Ha 331 mila follower, non ancora una minaccia, ma alla sfilata di Dior siede accanto a Maria Grazia Chiuri e promuove la moda dalla Cina all’Arabia Saudita.



Shudu


Influencer in carne e ossa, tremate. Avanza una piccola e agguerritissima pattuglia di concorrenti partorite da algoritmi, con l’identica propensione a condividere tutto di sè coi follower, ma con minori pretese economiche, nessun capriccio e garanzia totale di controllo per il brand che le recluta.

Indossano, dicono, incarnano esattamente quello che il committente vuole, senza l’io debordante delle ferragni che alla fine rischia di oscurare il prodotto o veicolare un messaggio non consono al contratto.


Noonoouri


Il fenomeno per ora è limitato, ma i marchi ci hanno già messo gli occhi sopra. Sono un veicolo pubblicitario potenzialmente dirompente per le generazioni post-Millennial, abituate a sovrapporre reale e virtuale e a passare dall'una all'altra dimensione senza turbamenti. Da una parte le celebrities che si “avatarizzano” a colpi di filtri fotografici e bisturi, col risultato di essere tutte uguali, dall’altra gli avatar che si “umanizzano” ricevendo dai loro creatori qualche difettuccio per sembrare più autentici. Nella galleria orizzontale di Instagram non c'è differenza.


Il confine tra influencer veri e prodotti informatici è sempre più liquido. Una caratteristica in comune? Non hanno anima. Profondità, appunto.
@boria_a

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