MODA & MODI
Il mito di Dior in un film e la passerella si dissolve
La sfilata, la passerella, è un rito che questo tempo strano che stiamo vivendo ha reso improvvisamente obsoleto, lontano. La scelta di Dior di affidare al regista Matteo Garrone la presentazione della sua collezione haute couture, ha messo un punto fermo nella comunicazione della moda. Quindici minuti di pura poesia, nel bosco del Sasseto nell’alta Tuscia dove Garrone aveva già girato “Il racconto dei racconti”, per evocare “Le Mythe Dior”, il mito di Dior, in un paesaggio fatato e sospeso, tra creature acquatiche e silvestri, sirene, fauni, statue di marmo, tutti stregati dal desiderio di quegli abiti magnifici. https://www.youtube.com/watch?v=yxBFwqRbI8c
Due fattorini attraversano il bosco reggendo un baule dalla forma dell’edificio dove ha sede la maison, in Avenue Montaigne a Parigi.
All’interno, un carico prezioso, i manichini mignon vestiti con i modelli della collezione, che richiamano le pupées de la mode del ’700, le bambole-manichino (chiamate “piccola Pandora” per gli abiti da giorno, “grande Pandora” per quelli da sera) inviate alle clienti lontane perché toccassero, scegliessero, sognassero le creazioni da ordinare. Quei manichini, che all’inizio del video vediamo certosinamente preparati dalle sarte della maison, intente a cucire loro addosso gli abiti in scala ridotta ma perfetti in ogni dettaglio, sono stati il filo conduttore anche nella grande mostra sui cinquant’anni di Dior, tra il 2017 e il 2018 al Musée des arts decoratifs di Parigi: in ogni bacheca l’abito e la sua replica minuscola, quintessenza della sapienza sartoriale, puro oggetto del desiderio.
Ecco: quella stessa magia è il filo conduttore anche del video di Garrone, che si riallaccia alla narrazione fatta da sarti e sarte sul profilo Instagram della griffe.
Al di là del digitale - le prime settimane della moda virtuali sono state Londra e Parigi, ora tocca a Milano - Dior ha intrecciato un racconto su più piani, ha fatto dialogare l’immaginario di Maria Grazia Chiuri, la direttrice artistica, con quello di Garrone, ha connesso e integrato le narrazioni, coinvolgendo una platea molto più ampia di quella della sfilata. Chiuri ha ragione: l’alta moda ha bisogno di essere apprezzata da vicino, toccata, nel ’700 come oggi. Ma il film sul mito di Dior ci dice che la passerella non basta più e che il suo cerimoniale per pochi addetti ed eletti è ormai relegato, confinato proprio, in un’altra epoca.
twitter@boria_a
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